Racconti dell’anima

Rivista letteraria Lido dell'anima 
Lidia Popa
Anno 2017 -2019
Rivista letteraria Lido dell’anima di Lidia Popa
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per info email: periodicoonline.lidodellanima@gmail.com
 
© Rivista letteraria Lido dell’anima / Revista literară Lunca Sufletului
Periodico trimestrale bilingue italiano / rumeno
Numero 10
25 settembre 2019
Racconti dell’anima
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Il lupo di Mantova
di Anna Manna
Da”Una città, un racconto”

Sull’acqua. In bilico.

Come sospesa tra il buio delle profondità terrestri e la luce tersa del giorno. Un’apparizione. La visione di un mondo “altro” che s’insinua tra il battere delle ciglia rimanendone imbrigliato. Un incantamento concesso. Una geografia dell’anima prima che del paesaggio. Mantova.

Laura la vide e ne restò prigioniera. Capì subito che era un incontro importante. Di quelli che segnano i ricordi. Quasi una linea di confine. Una città a metà. Tra il sogno e il risveglio. Ne fu presa subito, anzi si abbandonò a Mantova come se stesse in confessione. Come se davanti a lei non dovesse più fingere. Non potesse più mentire. Come se stesse allo specchio.

E si spogliò di ogni maschera, di ogni inquietudine. S’abbandonò alla città prima d’abbandonarsi alle ore da trascorrere in lei, con lei, per lei. La città scorreva silenziosa sul Mincio, restando in un’aurea di distante malia. Come una farfalla variopinta ancora tutta da analizzare. I colori definiti, leggiadri, chiari e scuri si rincorrevano nei muri e nella natura senza urli, senza bisbigli, senza reticenze. Esistevano. E già questo loro meraviglioso esistere bastava. Regali, importanti appena sfumati come raccontassero permanentemente il confine, la demarcazione, l’orizzonte tra il vero e il falso, il pudore e la spregiudicatezza, il limite e il velo senza sbarre. Una vibrazione costante, continua, un pulsare che s’acquietava sull’acqua del Mincio. Un movimento che raccontava la magia del silenzio. Se ne cibava. Si adagiava ad esso divenendone la voce impercettibile. Laura ne fu pervasa. E non oppose alcuna resistenza.

Aveva bisogno di placare le sue inquiete circumnavigazioni della mente. Quell’arrovellarsi, quel ruminare continuo dentro il cuore. Da troppo tempo ormai. La mancata maternità le aveva creato grossi disagi psichici. L’aborto l’aveva annientata in un’assenza, un vuoto di ruolo.

Era instabile, traballante. Giovanni aveva cercato di aiutarla ma certo non poteva ricucire una ferita che dentro l’agitava e la travagliava continuamente. Vedeva le altre donne correre nei giorni densi di impegni, di affanni, di sacrifici, di amore di madre. Laura non aveva e non avrebbe avuto mai il ruolo di madre. E senza quella maschera, senza quella divisa da indossare si perdeva in mille piccoli doveri quotidiani che non erano assolutamente importanti. Il marito le costruì cento interessi, serate e stimoli a ripetizione. Ma tutto s’infrangeva in quel mare dell’assenza della maternità. Per anni le sembrò di navigare senza meta e cominciò a vivere l’amore come l’unico ruolo reale, come l’unica maschera esistente. Moglie! Questo vestito diventò abnorme, una corazza. E smise di amare Giovanni.

Quando incontrò Giancesare da lei era completamente assente l’idea dell’innamoramento. Fu proprio questo equilibrio che negava ogni possibile ipotesi di sentimento che la fece diventare una facilissima preda. Lei era completamente indifesa nei sentimenti. Perché li aveva negati a monte, anni prima. Per non soffrire troppo dopo l’aborto. E i sentimenti negati esplosero all’improvviso davanti alle note del violino di Giancesare. Un musicista. Un uomo capace di affilare il momento fino allo spasimo.

Laura fu vinta dal violino, dagli arzigogoli della stramba psicologia di Giancesare. E iniziò un’avventura tutta di testa. Come una sinfonia. Che cresceva col passare dei giorni, si gonfiava, occupava tutto il suo cuore. Faceva l’amore con il marito nella realtà e come una foglia d’autunno la sua psiche s’abbandonava alla suonata del violino del musicista. Pasticche, psichiatra, sedute. Niente. S’era sdoppiata. Da una parte la moglie, ruolo vissuto e concreto, dall’altra l’amante, ruolo accarezzato, irreale, non vissuto.

Fino a Mantova. La città accolse Laura senza sfarzi. Calma, distante. Un sogno sull’acqua. Cominciarono a passeggiare sulle fredde rive del Mincio. All’ingresso di Palazzo Te Laura ebbe come una visione. Un guizzo variopinto in mezzo ai visitatori in fila all’ingresso della mostra di pittura.

“Monica, mi è venuta dentro un’immagine. Che so come una visione.”

“Che visione?” l’amica Laura incuriosita.

“Mi è parso di scorgere una giovane coppia. Un uomo ed una donna in abiti antichi, bellissimi, lunghi….”

“Come? Che bello! Sarebbe bello incontrare una favola. Qui sull’acqua!”

“Sì ecco come un riflesso dell’acqua che prende vita… e… oddio ma che stupidaggini vado dicendo!”

“Perché dice così Signora?” si fa avanti una donna in nero con una rosa grigia sul bavero.

“Non si meravigli, Lei ha visto Federico e Isabella“

“Come,come? Cosa dice ? Ci faccia capire bene? Lei è la guida della mostra ?”

“Che importanza ha io chi sono? L’importante è che la signora ha sentito la vibrazione. Sono i fantasmi di Federico Gonzaga e Isabella Boschetto ,sua amante e amore di tutta una vita.

VIAGGIO DI LAVORO
di Fabio Gimignani

Era la prima volta che vedeva Firenze.
Molti amici ci erano stati, nel corso degli anni, e gliela avevano raccontata; l’aveva vista in mille documentari televisivi e nelle foto che inondavano internet, ma quella mattina era la prima volta che ascoltava il rintocco dei propri passi sul selciato irregolare di Piazza della Signoria, mentre sfilava tra Ercole e Perseo imboccando il colonnato degli Uffizi.
Dall’alto, la torre di Palazzo Vecchio sembrava osservarlo, austera e imponente come ogni simbolo di potere aveva il dovere di essere, incombendo sulla grande piazza e sul piccolo uomo che, a pochi istanti dal sorgere del sole, attraversava quel luogo denso di storia con passo sicuro, anche se infiacchito dalla considerevole età.
Indossava un completo fumo di Londra dalla foggia leggermente fuori moda anche per un classico maschile, sottolineata dai baveri un po’ troppo pronunciati e dai molti bottoni, tutti regolarmente e metodicamente allacciati. La camicia candida rivelava l’incontro con innumerevoli lavaggi attraverso i tratti vagamente lucidi sulla piegatura del colletto, comunque perfettamente inamidato come non si usava più da chissà quanto tempo. Una sottile cravatta nera annodata con cura e un fazzoletto immacolato che occhieggiava dal taschino completavano l’insieme, donando all’uomo un sentore di passato che faceva pensare a qualcosa di antico, più che a qualcosa di vecchio.
Avrebbe voluto concedersi una colazione da Rivoire, lo storico caffè affacciato sulla piazza dai cui tavolini si poteva ammirare la facciata di Palazzo Vecchio in tutta la sua maestosità, ma si era costretto a soprassedere per scongiurare il pericolo di un’accidentale macchia o di qualche briciola che avrebbero rischiato di compromettere un’immagine d’insieme composta con tanta cura, durante le ultime ore insonni che avevano preceduto l’alba, davanti allo specchio della piccola pensione in cui alloggiava.
Le due ali del colonnato lo avvolsero in quell’abbraccio che da sempre incantava chiunque vi penetrasse per la prima volta.
Lorenzo il Magnifico, Dante Alighieri, Michelangelo Buonarroti e tutti i Grandi di Firenze, fino a Niccolò Machiavelli, esiliato quasi a ridosso dell’Arno, sembravano squadrarlo attraverso i vuoti occhi di pietra, arroccati nelle rispettive nicchie che scandivano lo scorrere degli archi, facendolo sentire ancor più piccolo e insignificante di quanto non si fosse mai sentito nei molti anni che gli pesavano sulle spalle.
Ma era lì anche per loro.
Ognuno di quegli uomini eccezionali avrebbe dovuto provare una briciola di gratitudine per lui, vecchio, forse troppo magro, stanco per il jet-lag e vestito con abiti fuori moda, solo per il fatto di essere volato fin lì dall’Argentina, dando fondo a molti dei risparmi di una vita per il puro piacere di esercitare quella giustizia che a molti, lui incluso, la vita aveva negato per lungo tempo.
Giunto davanti all’ingresso principale della galleria degli Uffizi l’uomo si fermò concedendosi finalmente di guardare verso l’alto e lasciando che la vista spaziasse lungo il perimetro dei tetti per poi ridiscendere a fissare negli occhi una ad una tutte le statue che lo circondavano. Raddrizzò la schiena provando la consueta stilettata di dolore all’altezza dei reni e salì con solennità i gradini che dal piazzale conducevano sotto all’imponente colonnato.
Si avvicinò alla grande vetrata sotto gli sguardi attenti di Leonardo da Vinci e Leon Battista Alberti, quindi percosse tre volte la lastra di cristallo antiproiettile con le nocche ossute.
Un addetto alla sicurezza, dall’interno, si avvicinò alla porta scuotendo la testa e picchiando con l’indice sull’orologio.
L’uomo sorrise alzando un dito per richiedere attenzione ed estrasse dalla tasca interna della giacca una busta color avorio con un nome vergato in bella calligrafia. Mostrò la busta all’addetto e gliela porse in una muta richiesta di accettazione accompagnando il gesto con un sorriso disarmante.
La guardia armeggiò per qualche istante intorno alla serratura, borbottando qualcosa a un collega che comparve alle sue spalle, poi socchiuse il grande battente di cristallo e sgusciò fuori, parandosi davanti al vecchio che continuava a sorridere con la busta tra le dita.
«È chiuso, signore» esordì indicando l’ingresso alle proprie spalle «Deve attendere le otto e un quarto come tutti gli altri visitatori».
«Lo so e me ne scuso» rispose l’uomo con voce roca «Ma ho affrontato un viaggio molto lungo solo per consegnare questa busta, e il treno con cui devo raggiungere l’aeroporto di Fiumicino per rientrare a Buenos Aires parte tra meno di un’ora. Sarebbe così gentile da aiutarmi?»

RIVISTA LETTERARIA  LIDO DELL’ANIMA Anno 2018 – di Lidia Popa

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Numero 9

Periodico trimestrale bilingue italiano / rumeno 

25 giugno 2019

Racconti dell’anima

Pezzi di anima
di Liliana Smerea Vacaru
da Schegge di dolore, gocce di rinascita
Ed Natiune

Anima errante, tormentata, torturata… Anima incantevole, romantica, sensibile… Anima lacerata, irrealizzata, distrutta… Di quanti tipi può essere l’anima umana e quanto può essere facile vivere quando un’anima attraversa ogni buco del setaccio della vita e possiede tutti questi stati emozionali insieme?! Cosa rimane della tua anima dopo che hai lasciato un pezzo di essa su ogni cammino che hai percorso?! Oppure quando dopo l’incontro con ogni persona, entrata nella tua vita, hai lasciato un pezzo de la tua anima? L’hai stesa come un tappetto, ed alcuni l’hanno calpestata senza pietà! Ma, alla fine, l’anima rimane ANIMA! Strappata, ferita, umiliata… ma presente! Rinasce ogni giorno, fino all’ultimo respiro! Forse il suo nutrimento e la speranza, e il suo potere risiede nei sogni! Sogni?! Si… quelle piccole illusioni che a volte ti inondano la mente e ti convincono a lottare anche quando hai perso ogni speranza di vittoria! Ed allora?! Arrivato a quel punto… quando ti senti sconfitto- cosa ti rimane da fare?! A quel punto… come un soldato ferito raccogli tutti i pezzi della tua anima e sistemi loro in un cassetto con ricordi.

Così… come se fossero la testimonianza delle battaglie perse. Non ti dimentichi mai! Ma, chiudendo gli occhi, inizi a costruire attraverso lo” sguardo largo” della mente, il piano di battaglia per il futuro! Come un albero rinato da un tronco quasi marcio, nel mezzo di un oceano di delusioni, inizi a remare con ottimismo verso la terra della SPERANZA! E… vai! E… lotti! A volte i passi ti portano su vie conosciute, altre volte vanno alla deriva, senza uno scopo preciso! Oppure… stanchi di cercare un punto di riferimento si avventurano verso l’ignoto! E la?!… La… come sarà la tua vita o quella di loro… di tutti coloro che si avventurano verso l’ignoto?! Provo a descrivere qualcosa che sente un estraneo tra altri estranei, come un intenditore dei fatti, come una persona ai quali passi l’hanno portata lontana, vagando per cammini ignoti! Come ti senti?! L’ho detto ogni volta che ho avuto l’opportunità! Ti senti come dopo un terremoto, quando la terra si è divisa in due parti, e tu sei rimasto con un piede su un lato e con l’altro sull’altro lato, non potendo scegliere il lato sul quale vuoi vivere, ma con l’immensa paura di cadere nell’abisso! Cosa fai in quel momento?! Ti decidi in un istante di scegliere l’ignoto!

Lasci il tuo nido e il tuo pulcino e parti! Costruisci dei sogni, crei speranze per il futuro del tuo bambino e vivi la tua avventura! Ridici a te stessa in maniera meccanica, ogni giorno, che domani sarà un giorno migliore, anche se non sai come sarà veramente! Cosi come quando eri bambina e temevi il buio e per allontanare la paura ti dicevi da sola per prendere coraggio… “Io non ho paura!” E… vivi! Vivi illudendoti che domani sarà un giorno migliore… Ma da qualche parte nel tuo cuore ti senti come un albero sradicato oppure… un albero le cui radici sono rimaste su una terra, e i rami e le foglie vivono su un’altra! Tuttavia… la vita va avanti nel bene e nel male!… A volte piangendo, a volte ridendo nonostante le lacrime… ma stringendo tra i denti fino al esaurimento… la SPERANZA! Strano! A volte siamo come le foglie nella frenesia delle tempeste autunnali- noi, buttati nella frenesia delle tempeste della vita! Le foglie, una volta staccate dall’albero, corrono selvagge, credendo che troveranno un’ancora della salvezza da qualche parte, che sopravvivranno verdi e potenti accanto ad un altro albero… e nella loro folle corsa si dimenticano che corrono verso la fine! Cosi e anche la nostra vita!

Una perenne corsa… nella quale ci dimentichiamo che nella nostra folle fretta ci sfuggono così molte cose belle e sprechiamo anni piu belli che non ritorneranno mai più! Quale sarà il motivo per il quale le persone partono lasciando indietro genitori, figli, case… ricordi?! Per alcuni di loro…. si può trattare di avarizia… il desiderio di possedere di più… Per altri, la disperazione, la paura del giorno di domani, l’illusione di avere una vita migliore… Per altri ancora?! Nonostante può sembrare assurdo… l’amore per i loro figli è il motivo che gli convince di partire! Perché lasci un figlio se lo ami?! A volte mi ritorna in mente la parabola delle due donne che si contendevano un bambino, tirandolo con tutta la forza ognuna di loro dicendo che quel bambino fosse suo… fino a quando, la vera madre impaurita che avrebbe potuto rompere il bambino, ha ceduto a favore dell’altra donna, salvando in questo modo la vita del bambino! Non lasci un bambino per egoismo o codardia… perché se lo lasceresti per questi motivi… non sei un genitore… Lasci un bambino perché non è un bagaglio da portare con te laddove neanche tu non sei al sicuro… Nell’avventura che hai osato vivere, sapendo che ci saranno giorni che non avrai neanche tu un rifugio, non c’è posto per un bambino accanto a te! Egli deve essere protetto ad ogni costo… anche con il costo della tua vita!

E allora?! Che ti resta da fare?! Cerchi un posto dove lo sai che sarà al sicuro ma che le tue mani non lo possono accarezzare, non sarai accanto a lui per raccontarli una storia prima di addormentarsi, le tue labbra non potranno posare sulle sue guance il bacio della buonanotte però crescerà al sicuro! Ti addormenti notte dopo notte con gli occhi pieni di lacrime, incolpandoti sempre, sentendoti inutile (non era cosi il tuo sogno di essere mamma) ti passano per la testa idee di suicidio e nonostante tutto, quando quasi hai toccato il fondo del abisso, la mano di Buon Dio ti prende e ti rialza e la Sua voce ti ordina di non perdere la speranza e la fiducia che per tuo bambino sara meglio cosi… lontano da te… pensando che tuo pulcino non avrà la tua vita, le tue rinunce ed e qui in questa speranza che rinasce il tuo potere di andare oltre! E dopo ogni notte di insonnia, ti alzi con il cuore strappato, ma con il sorriso sulle labbra… Hai un motivo per lottare! E questo motivo e la felicità del tuo bambino e la SPERANZA che lui vivrà meglio. Ma come si potrebbe descrivere con parole il dolore sentito da un genitore che lascia suo bambino da qualcun altro o il dolore sentito da un genitore anziano che vede suo figlio che parte e non sa se vivrà abbastanza fino a quando lo vedrà rientrare da quella porta? Cosa sente un bambino lasciato dai genitori? Cosa sente un figlio adulto che partendo lascia dietro di se le ossa dei genitori in un cimitero e lui, per tutta la sua vita porta con sé nell’anima … il rimorso… il senso

della colpa, sapendo che non potrà venerare loro così come avrebbe voluto?! E difficile descrivere un dolore cosi grande! E tuttavia vi sono figli lasciati e figli che partono… Piangendo, con l’anima a pezzi, coloro che rimangono e pure coloro che partono stanno per cominciare la dramma e non la felicità della loro vita Chiudi gli occhi, lettore! Riesci a vedere attraverso la tua immaginazione quanto sono infelici?! Mentono loro stessi… „partirà per poco… e poi ritorno” E dopo?! Passano gli anni… e non ritornano più… Si distruggono famiglie… rimangono figli e genitori abbandonati, oppure si ritrovano ma a quale prezzo? Perche quando si ritrovano sono freddi e distanti… quasi estranei! E poi comincia la lotta per riparazioni e a volte qualcosa si ripara… qualcosa che assomiglia a un filo annodato che dipende da quanto è grande la cruna di un ago per poter passare! Quanto è difficile?! Sentono e sanno solo quelli che hanno vissuto una simile dramma! Quel’altri solo si immaginano e poi dipende anche a chi e come guardano! Alcuni hanno realizzato obiettivi materiali e si sentono ripagati, altri hanno presso delle strade sbagliate macchiando dolorosamente il buon nome di romeno, altri

hanno dimenticato in solo un mese intera lingua romena, altri ancora sono riusciti a stare a galla e hanno tentato a riunire la loro famiglia contenti che durante il tempo che sono stati lontani non sono impazziti! La maggior parte si è rassegnata e passano la loro vita nel bene e nel male senza farsi grandi progetti… Le loro radici saranno sempre a casa ma andranno sempre laddove le vie de la vita li porteranno… come una nave che viaggia alla deriva ma contenti che possono portare a casa un pezzo di pane, che possono seppellire i loro morti e sperando che almeno i loro figli avranno un altro destino! Un destino migliore! Vivi momenti nei quali ti senti un estraneo tra estranei e quasi ancora più estraneo a casa tua! Ambendo sempre al meglio siamo partiti così in tanti che a volte mi chiedo, preoccupata: Se „qui” sparsi nel mondo siamo così numerosi… a casa… quanti sono rimasti?! Quanto è lontano il giorno quando la SPERANZA di stare meglio… si avverrà? Solo il Buon Signore lo sa quando! Ma fino allora dobbiamo vivere la vita così come viene e io… ringrazio a Dio per le persone buone e cattive incontrate sulla mia strada! Ognuna di loro mi ha insegnato a vivere! Alcuni mi hanno buttato nel abisso mentre altri mi hanno teso la mano per afferarla e per rialzarmi! A tutti quanti: GRAZIE! Con rispetto e con l’amore per tutti voi mi permetto un cosiglio:

Non rinunciate ai vostri sogni ma per rializarli non calpestate i sogni dei altri perche: „ Spegnendo la luce di qualcuno tu non brilli di più!”

La morte di Empedocle
Di
Holderlin
(prima stesura)

Prologo

Quando si apre il sipario la scena presenta Holderlin vestito in maniera trascurata. E’ seduto su una sedia davanti a un leggio: sta scrivendo con una penna d’oca molto appariscente. Infastidito dai fari si protegge gli occhi con un braccio. Si alza lentamente, va verso il proscenio e comincia a salutare il pubblico con numerosi e goffi inchini. Comincia a parlare lentamente.

Holderlin: Io sono…Johann… Cristian… Friederich… Holderlin, e sono pazzo…dicono. Sono qui ospite di questo mio amico falegname da moltissimi anni: mi ha riservato la parte più bella di questa torre circolare e panoramica. Dalla mia stanza posso ancora ammirare l’impareggiabile spettacolo della Natura. Posso ancora commuovermi alla vista di un albero, un fiore, della terra arata di fresco, di un fiume, del cielo, del sole, delle stelle e di ogni altra cosa. Ho amato la Natura per tutta la vita. L’ho bevuta a grandi sorsi, ma ad ogni sorso scomparivo nella poesia che essa mi imponeva amorevolmente.

Falegname: Johann, come hai fatto a riversare nei tuoi stupendi versi lo straripamento dell’anima tua?

Holderlin: Tradurre un amore in parole è stato faticoso, perché fare della Natura un Dio comporta il più grande dei sacrifici: scomparire in essa.

Falegname: Sai Johann, sono più di trent’anni che stai qui con me, e non ho mai creduto del tutto alla tua follia. Io credo che il tuo modo eccessivamente manieroso ed ossequioso di accogliere gli ospiti illustri che vengono a trovarti, sia un’astuzia per chiudere la porta ad ogni dialogo con gli esseri umani.

Holderlin: Quello che dici è vero a metà. Io sono malato davvero, sono matto, ma la mia follia la monto non appena mi si avvicina l’essere più innaturale del mondo: l’uomo.

Falegname: Ma con me sei gentile, affettuoso e tollerante!

Holderlin: Tu sei naturale, amico mio: quando lavori il legno sento come rispetti l’albero che esso era, ne annusi l’odore, ne tocchi delicatamente le fibre, lo guardi con sguardo amico, ne senti la voce al tocco e ne mangi la polvere gustosa. Quando entra invece un parruccone borioso e curioso di vedere… il pazzo, lo costringo a scappare a suon di inchini e riverenze.

Falegname: Visto che oggi ti va di parlare più del solito, Johann, posso chiederti una cosa?

Holderlin: Chiedi pure.

Falegname: Per me la tua opera più bella è l’incompiuta Morte di Empedocle. Perché fra tanti greci illustri hai scelto proprio lui?

Holderlin: Empedocle è, fra i saggi dell’antica Grecia, quello cui più assomiglio: io ho sacrificato quasi tutto me stesso per amore della Natura, lasciando a testimonianza del mio incompleto sacrificio una “salutare” follia che potesse proteggermi dalla stoltezza umana; lui, Empedocle, ha sacrificato tutto se stesso, precipitandosi nel ribollente calice dell’Etna, nel fuoco della Natura, ma a lasciare testimonianza del suo completo sacrificio è stata la Natura stessa, imponendo al divino cratere di restituire i sandali di ferro del saggio “immortale”.

Falegname: Ma così dicendo elogi il suicidio! Perché di questo si tratta: Empedocle si è tolta la vita!

Holderlin: No, amico mio, la cosa va presa simbolicamente: egli invita solo a seguire, sposare la Natura; la tragedia è solo una cassa di risonanza. Sappi che sia Empedocle che io pensiamo che il suicidio sia un atto contro natura, perché il nostro corpo, in quanto figlio del cielo e della terra, non ci appartiene. Esso è uno dei tanti fiori di Natura, che deve solo espirare il suo profumo e mostrare la sua bellezza, quella bellezza figlia della Vita Eterna, dello Spirito Universale, di Dio.

Falegname: Perché non mi racconti la sua storia ancora una volta? Sentita dalla viva tua voce, ogni volta mi pare più bella. Vuoi?

Holderlin si alza lentamente. Prende il leggio e la penna d’oca, e comincia il racconto, mentre il Falegname porta via la sedia.

Holderlin: Pantea e Delia stanno per giungere al giardino ove Empedocle si è ritirato da qualche tempo… (escono, mentre da un’altra parte entrano Pantea e Delia).

Pantea: Ecco, questo, Delia, è il suo giardino. Ma tu, l’hai mai visto?

Delia: Pantea cara, con mio padre siamo giunti in Sicilia solo ieri. Però, quand’ero bambina l’ho veduto ai giochi d’Olimpia.

Pantea: Ma è ora che dovresti vederlo, ora! Dicono che le piante al suo passaggio lo riveriscano, e che laddove poggia il suo bastone scaturiscano fresche sorgenti d’acqua. Ma dicono anche che sappia domare le tempeste con lo sguardo. Devi vederlo, almeno per un istante, e poi allontanati. Io cerco di evitare il suo sguardo, perché pare abbia anche il potere di trasformare tutto.

Delia: E come fa un essere così a vivere insieme agli altri? Conosce come noi tutti le pene umane?

Pantea: L’ultima volta che lo vidi, mi resi conto di come, un essere divino, possa toccare anche il fondo del suo dolore. Sembrava aver perduto qualcosa, come se la sua vita fosse precipitata da grandi altezze. Fui proprio commossa dall’umiltà del suo regale aspetto. Anche le stelle più belle tramontano, osservai in cuor mio.

Delia: Ma dimmi Pantea cara, hai mai parlato con lui?

Pantea: Non molto tempo fa ero gravemente ammalata, moribonda. Allora mio padre, dopo avere perso ogni speranza, nonostante fosse ostile a quest’uomo, ricorse a lui, al confidente della Natura. Ebbene, appena mi porse un farmaco, la mia vita riprese a scorrere come per magia. Dormii parecchi giorni, pur essendo desta, e del respiro non facevo quasi uso. Quando riaprii gli occhi, Empedocle, il divino, stava davanti a me, e la mia vita rifiorì al sorriso del suoi occhi.

Delia: Oh Pantea, parlami ancora di lui.

Pantea: La sua voce era armonia del suo petto: le parole risuonavano come melodie, ed in esse era ben vivo il fuoco dello Spirito. Avrei voluto rimanere ai suoi piedi come discepola e come figlia, e lasciare che la mia mente vagasse nelle altezze in cui egli dimorava.

Delia: Ed egli conosce tali tuoi pensieri?

Pantea: No. Vive in un mondo tutto suo, libero da bisogni. Sereno come un dio, passeggia in silenzio tra i suoi fiori e immerso così nella Natura, attinge entusiasmo e verità. Poi torna fra gli uomini, reca loro aiuto, ma prima che possano abituarsi alla sua presenza, dilegua per riimmergersi nuovamente nella Natura.

Delia: Come sai tutte queste cose?

Pantea: Io penso costantemente a lui, mia dolce Delia. Voglio essere come lui: questa la mia ambizione di vita. Ma di lui mi ha parlato a lungo, oltre che il mio cuore, anche il suo discepolo, Pausania.

Delia: Sai, anche noi possediamo uomini illustri, come quel Sofocle, splendore degli ateniesi, che per primo intuì la natura luminosa delle vergini. Ed ognuna di noi si chiede quale sia l’eronia ateniese a cui si ispirò nel creare Antigone. Ma tu lo ami, Pantea!

Pantea: Anima cara, non so neppure io perché gli appartengo. Ma se lo vedessi forse capiresti. (Si guarda intorno) Pensavo che oggi sarebbe uscito.

Delia: I tuoi desideri sono forti, amica mia.

Pantea: Sì, desidero vederlo, e rivolgo in alto le mie preghiere. Ma gli dei non amano le impazienti preghiere dei mortali. Però voglio ancora sperare (si guarda ancora intorno): se potessi…! Mistero eterno: ciò che siamo e cerchiamo, non possiamo trovare: e ciò che troviamo, non siamo. Delia, che ora è?

Delia: Non lo so, ma… (guarda verso le quinte) vedo venire tuo padre

Pantea: Mio padre? Andiamo, vieni. (Vanno. Entrano in scena Crizia, l’arconte, ed Ermocrate, il sacerdote)

Ermocrate: Ho visto qualcuno laggiù, chi era?

Crizia: Era mia figlia, Pantea, e Delia, la figlia dell’ospite che da ieri ho accolto in casa mia.

Ermocrate: Forse lo cercano anche esse, credendo, come tutto il popolo, che sia scomparso?

Crizia: Non credo che mia figlia sappia ancora della strana diceria, ma, come tutti, anche lei è legata a quest’uomo, che spero sia lontano da qui nei boschi.

Ermocrate: Ma no, no, devono vederlo, affinché la loro folle illusione svanisca.

Crizia: Dove mai sarà?

Ermocrate: Certamente non lontano da qui. Sarà seduto da qualche parte, all’ombra. Gli dei lo hanno abbandonato dal giorno in cui, ubriaco di sé, si è proclamato Dio.

Crizia: Questo mago ha ubriacato un intero popolo: ogni giorno è una festa sfrenata. La sua anima è molto potente: anch’io mi sono umiliato davanti a lui quando salvò mia figlia dalla morte. Ermocrate, cosa pensi di lui?

Ermocrate: Gli dei lo hanno amato ed elevato a grandi altezze, ma a causa del suo orgoglio lo hanno tosto respinto e condannato ad una solitudine infinita. Questo pericoloso sognatore ha affermato con tracotanza che dalla sua parola ebbero un tempo origine gli dei. Nel petto gli ardono immense voglie, e questo fuoco divorante distrugge tutto ciò che incontra: leggi, miti, costumi. Bisogna far qualcosa per arrestare la furia distruttiva di questo folle.

Crizia: E cosa? Come?

Ermocrate: Raduna il popolo, affinché veda il volto triste di colui che credono salito in cielo. Voglio che siano testimoni dell’anatema che sto per scagliargli. Lo cacceremo nel deserto e non potrà mai più fare ritorno.

Crizia: E se il temerario domina il popolo, non temi per noi?

Ermocrate: La parola del sacerdote riesce a stroncare lo spirito più audace.

Crizia: E se il popolo lo considera un dio?

Ermocrate: Il loro delirio passerà non appena vedranno colui che credono asceso fra gli dei.

Crizia: (guardando verso le quinte) Ermocrate?

Ermocrate: Che c’è?

Crizia: Lo vedo in lontananza, sta venendo qui.

Ermocrate: Andiamo via di qua: eviteremo qualcuno dei suoi indisponenti discorsi. (escono ed entra Empedocle)

Empedocle: Voi, alberi felici del mio bosco! Tu, giorno splendido, che lievemente accarezzi il mio silenzio! Intima Natura che mi stai dinnanzi, più non riconosci in me l’amico, il sacerdote che ti offriva il suo canto d’amore? E voi sorgenti di vita, sacre fonti che un tempo confluivate dalle viscere del mondo, ed a me venivano gli assetati: ora sono inaridito e gioia di me più non hanno i mortali. Sono solo? Cieco son io? Miei numi, dove siete? Perché mi abbandonate come un mendicante? Io agivo insieme con voi, perché il mio spirito era da voi guidato. O Luce che tutto evolvi, i miei occhi contemplarono la tua divina azione. E tutte voi, potenze eterne…Ombre e nient’altro! E’ finita! (si batte il petto) La colpa è tua, miserabile: per il tuo tracotante orgoglio credesti che gli dei fossero divenuti tuoi schiavi. Non c’è un vendicatore in qualche luogo? Dovrò attirare da solo sulla mia anima la maledizione e la vergogna? (entra Pausania, discepolo di Empedocle)

Pausania: O dei del cielo, cosa vedo?

Empedocle: Che fai tu qui, chi ti ha mandato? Non cercare l’uomo che veneravi, perché non esiste più. Vattene, vattene via, mio caro figliolo.

Pausania: Ma che succede? Ti ritrovo come la quercia percossa dal fulmine di Giove. Le tue parole non le ho afferrate pienamente, ma il loro tono funebre non mi è sfuggito.

Empedocle: Tu hai udito solo la voce di chi si credeva e si vantava di essere più che mortale perché l’amorosa Natura l’aveva colmato di eccessiva felicità.

Pausania: Ma per chi è amico di tutte le cose divine che esistono al mondo, tale felicità non è mai eccessiva.

Empedocle: Oh grande e Divina Luce! Ti aggiri fra gli uomini come divina giovinezza, spandi grazia su tutto ed ogni cosa assume il colore del tuo spirito. Fu così che la mia vita divenne poesia: viveva in me l’anima tua. Mi donasti tutte le gioie, e quando in solitudine meditavo sul fluire della vita, la commozione per le tue metamorfosi feriva d’amore il mio petto, e l’etere medicava tale mia ferita col suo respiro sanante.

Pausania: E tu eri giustamente felice.

Empedocle: Sì, lo ero, ma come un reietto ora piango. Oh potesse ancora il mio cuore devastato vibrare all’unisono con tutte le tue voci, Natura. Sono abbandonato da tutti. Non dire nulla, Pausania: l’amore si estingue quando gli dei ci abbandonano. Ed ora lasciami, io non sarò più me stesso. Vattene.

Pausania: Io so solo che la tua anima si è troppo aperta al mondo, ed ora, stanca, riposa. Così tu distruggi te stesso ed ogni tua parola è una spina per me.

Empedocle: Ma non capisci? (prende un fiore a terra) Io ti ho disprezzata, Natura. Mi proclamai signore : gli dei si erano posti al mio servizio, io solo ero Dio ed orgogliosamente, con arroganza lo proclamai. Sarebbe stato meglio che non fossi mai nato.

Pausania: Ma furono gli stessi dei che autorizzarono il pronunciamento delle tue parole, perché tu hai amato il mondo immortale e le sue forze.

Empedocle: Guarda, sta arrivando Ermocrate, il prete, e insieme con lui Crizia, l’arconte, ed il popolo tutto. Cosa vorranno da me? (Entrano Ermocrate, Crizia e Agrigentino dalla sala. Si fingerà che gli agrigentini siano gli spettatori della sala).

Ermocrate: (Al pubblico) Ecco l’uomo che voi dite asceso vivo all’Olimpo.

Crizia: E pare triste come un comune mortale.

Empedocle: Miserabili schernitori! Mi ritenete facile preda da catturare? Il forte è divenuto debole? Voi siete tentati solo da un frutto maturo che è caduto al suolo, ma, credetemi, tale frutto non è maturato per voi. Andate via! Percorrete la vostra strada e lasciate che io percorra la mia.

Ermocrate: Ma il prete non ha ogni diritto di parlarti?

Empedocle: Ecco il puro dio vivente: quest’ipocrita vuole avvelenare la mia tristezza. Va’ via; io conosco te e tutta la tua congrega, ed a lungo mi sono chiesto come possa tollerarvi la Natura. Via, via di qui! Non posso sopportare chi delle cose sacre fa un mestiere. Il suo volto, guardatelo, è falso, freddo e morto come lo sono i suoi dei. Andate via, via!

Crizia: Non prima che l’anatema ti sia scagliato in fronte, vile bestemmiatore.

Ermocrate: Stai calmo, amico mio. Ti avevo già detto che si sarebbe incollerito. Avete udito, agrigentini, mi deride, ma io non voglio scambiare con lui parole aspre e dure, in furibonda lite. Ciò non si addice ad un vecchio come me. Sia il popolo a chiedergli chi afferma di essere.

Empedocle. No! Tacete! Lasciate che il mio cuore ferito percorra il suo cammino verso la morte. Non profanate con amare parole il mio dolore. Che bisogno c’è di pungolare la vittima sacrificale che si avvicina all’altare. Risparmiatemi le vostre miserie.

Agrigentino: O Ermocrate, che cosa è accaduto a costui per farlo parlare così?

Ermocrate: Ha la mente ottenebrata, perché dinnanzi a voi si è proclamato Dio. Ma siccome non credete mai alle mie parole, chiedetelo a lui.

Agrigentino: Ma noi ti crediamo, Ermocrate.

Pausania: Credete a lui, svergognati? Oh Natura, come puoi tollerare un simile vermicaio nel tuo mondo? Perché mi fissate così? Non sapete cosa fare di me? Beh, chiedetelo al prete: lui sa tutto.

Ermocrate: Avete visto coi vostri occhi, agrigentini, l’insolenza del giovane: il suo maestro fa quello che vuole e lui ha già imparato.

Agrigentino: Non vogliamo più aver nulla che fare con costoro. Come ha potuto incantarci. Via, via di qui discepolo e maestro!

Ermocrate: Questo seduttore, subdolamente, traviò il popolo. Ma è giunta l’ora. (a voce alta scaglia l’anatema alzando un dito al cielo) Invoco voi, tremende divinità della vendetta! Voi, Giove e Poseidone, quando un arrogante nasce siete presenti ed ascoltate il suo cuore farneticante quando esce dalla culla. Costui vi è noto: sedusse il popolo, si fece beffa delle leggi, e mancò di rispetto agli antichi dei. Credevi, scellerato, che dovessero esultare, perché al loro cospetto ti proclamasti dio? Volevi regnare da tiranno su Agrigento! E dopo questi misfatti vieni qui e mi vomiti contro la tua ira, mentre bestemmi i nostri dei?

Crizia: Ve lo dissi mille volte di non aver fiducia in questo sognatore.

Ermocrate: Questa Natura, che tu dici di amare, appartiene ormai (alza un dito al cielo) agli dei della vendetta e della morte. Da ora innanzi, guai a chi ascolterà una tua frase, a chi ti rivolgerà il saluto, a chi ti darà da bere e ti ospiterà. Guai a chi appresterà il rogo funebre quando sarai morto. Guai a lui e a te! Vattene, gli dei della patria non tollerano più colui che tutto disprezza!

Agrigentino: Via, via, che la maledizione non ci contamini.

Pausania: Vieni con me! Non andrai via da solo. Uno che ti rispetta è rimasto, e non si cura del divieto. L’affetto dell’amico conta più della maledizione di questo prete. Veglierò il tuo sonno, attingerò acqua per te, ti procurerò il necessario cibo, e, se necessario, innalzerò il rogo che questi infami ti negano!

Empedocle: (mette una mano sulla spalla di Pausania con affetto) Cittadini, io per me non chiedo niente. Vi imploro soltanto per questo giovane dal cuore fedele… Ma che fate? Guardate altrove? Perché sfuggite il mio sguardo? Forse ricordate quando vi stringevate intorno a me come fanciulli, pronti a seguirmi fino al Tartaro? Ora non sono più quello? Sia come sia. Ma vi prego di non negarmi l’unica preghiera: risparmiate questo giovane. Egli mi ama come voi mi amavate, non ha fatto nulla di male. Un giorno voi lo ricercherete.

Agrigentino: Via, via! Non vogliamo più ascoltarti!

Ermocrate: Costui seguirà la tua sorta. Venga pure con te e condivida la tua maledizione.

Empedocle: Crizia, perché non parli? Non negarlo, anche tu sei turbato. Fiumi di animali sacrificati (con la mano indica il popolo) non laveranno questa colpa. Parla dunque, non vedi come sono ubriachi? Calma le loro menti.

Agrigentino: Ecco che ci insulta nuovamente. Via, via, vai via! Altrimenti ti usiamo violenza!

Crizia: Ben detto cittadini!

Empedocle: Su, venite, sbranatemi e spartitevi la preda, ed il prete brandisca la vostra esultanza, inviti a mensa i vendicatori infernali. Andate via Arpie fameliche, profanerete la mia salma quando la vita mi avrà abbandonato. La maledizione scenderà su questa terra e su di voi. Tra un’ora non mi vedrete più qui. (vanno tutti tranne Crizia. Mentre Empedocle sta per uscire di scena Crizia lo chiama)

Crizia: Empedocle! Vorrei dirti una parola.

Empedocle: Anche tu mi perseguiti?

Crizia: Io ti perseguito? Ma che dici?

Empedocle: So bene come stanno le cose: tu vorresti odiarmi, ma hai paura. E’ stato il prete a importi il suo volere? Non ricordi dunque che io salvai tua figlia?

Crizia: E’ vero, l’hai fatto.

Empedocle: Io non ti accuso, ma ascolta cosa ti dico: tu devi lasciare questo paese per il bene di tua figlia.

Crizia: Vuoi ancora introdurti nella mia vita?

Empedocle: Se questa città di stolti sprofonderà, lascia che una sola giovane eletta, tua figlia Pantea, si salvi. Quest’anima pia non troverà pace tra questa gente. Rimarrà sola e senza gioia. Non potrà mai legarsi ad uno di questi barbari. Ciò che ti dico è la verità.

Crizia: E cosa vuoi che faccia?

Empedocle: Parti con lei. Porta a Delo o nell’Ellade la sua anima bella, lì essa troverà pace e sceglierà un giovane che la strappi alle ombre cui fino ad ora si è accompagnata.

Crizia: Sei pieno d’affanni e condisci i tuoi discorsi con parole d’oro?

Empedocle: Il tuo scherno lascialo da parte. Io vi ho tutti maledetti, ma a tua figlia dono la mia benedizione. Io ti ho perdonato. Farai come ti ho detto?

Crizia: Basta, taci. Tu mi tratti come un fanciullo.

Empedocle: Promettimi che seguirai il mio consiglio.

Crizia: Non posso decidere così in fretta.

Empedocle: Lo farai?

Crizia: Ebbene sì. Lo faro. Ma adeso vai per la tua strada, o infelice.

Empedocle: Un’ultima cosa ti chiedo, o Crizia: libera i miei tre schiavi, mandali lontano da qui, e che li segua tutto il mio affetto. Ora va; lasciami solo, perché devo accomiatarmi da questo luogo. (Crizia esce) Addio, casa paterna dove sono vissuto. Addio a voi alberi, custodi della mia pace. Qui, fra voi, dove fui felice, mi si dileggia. Oh Dei del cielo, io vi ho oltraggiati e Voi mi avete abbandonato. Ma presto sarò canto. Con troppa forza mi chiamate a voi, vette del cielo…vi sento divoranti…in mezzo ai fiori imparai ad amare, crebbi grande in braccio a Voi, e fra le vostre braccia presto io starò. Piace alla folla ciò che dà il mercato, lo schiavo onora solo chi ha potere, ma crede nel Divino solo chi è nel Divino. Sole del mio paese, che ancora fai rossi i sentieri, io bevo fuoco ed anima al calice della tua gioia: a te ritorno per essere sereno e riposare. (Sta per andare ma irrompe Holderlin. Quello che dirà è in parte tratto da alcune sue poesie – ed. Fabbri; Mandruzzato, De Santi -)

Holderlin: No, no, no! Troppo breve l’abbraccio! Oh Empedocle, lascia che canti per te ancora un po’ questa Bellezza di creato. (verso le quinte) Falegname! Lo scrittoio! (Entra il falegname con un leggio e la penna d’oca. Holderlin si siede col leggio davanti e mentre scrive, declama): Abbraccia terra patria, in un riso di fiori calda e lieta il tuo figlio (indica Empedocle). O felice paese, dove ogni collina ha una vigna, dove l’autunno piove frutta sull’erba gonfia, e i monti ardenti immergono il piede nel fiume. E’ versata la fiala della vita…Giovani valli innamorate stringono nel loro seno colli innamorati…e trema la terra d’un piacere ignoto. Caldo e immenso è l’alito del vento. Il dolce Maggio affonda nella valle, e lì nel bosco, infinite creature si divincolano selvagge, vacillanti nella gioia. Il nostro culto, o Empedocle, è il sacerdozio della verità. (Al pubblico, forte) Gettate via i folli e annosi errori, la menzogna superba sia dannata: (indica Empedocle) gloria al vessillo limpido del vero, gloria ai giusti! Va, dunque, cammina disarmato attraverso la vita, senza pena. Sia benedetto tutto che ti accade. (Abbraccia Empedocle e lo lascia andare) Noi poeti del popolo migriamo volentieri, gioiosi e amici a tutti, dove è il respiro e l’onda della vita. Vai Empedocle: presto saremo canto.

Falegname: Adesso andiamo, signore, è ora di pranzo. Lasciamo che la tragedia segua il suo corso (prende leggio e penna d’oca ed escono. Entrano Pantea e Delia)

Delia: Frena il tuo dolore, cara fanciulla. Adesso vedrò se c’è ancora, di modo che tu possa rivederlo ancora una volta. Ma frena i tuoi singhiozzi, ti prego: nessuno deve sentirci. Entro?

Pantea: Sì, cara Delia, entra. Ecco, vedi? Freno i miei singhiozzi e mi calmo: non voglio che il cuore mi si schianti alla vista di quel grand’uomo. Lo hanno maledetto. Come è stato possibile? Su, vai! (Delia entra e riesce poco dopo). Ebbene? Cosa hai trovato?

Delia: Ahimé, tutto è morto, deserto.

Pantea: Dunque è partito.

Delia: Temo di sì. Ho chiamato, ma mi ha risposto solo l’eco: non c’è nessuno.

Pantea: Andiamo, vieni!

Delia: Ma dove?

Pantea: Dove non lo so, ma non posso più vivere fra uomini simili: come hanno potuto compiere questo gesto mostruoso?

Delia: Perché non piangi, mia cara? E’ preferibile piangere piuttosto che parlare e appesantire il cuore.

Pantea: Delia, egli passeggiava qui, e questo giardino mi era caro perché lui lo amava. La mia mente viveva costantemente al suo fianco e ciò mi dava gioia. Tutti i miei puerili crucci dividevo con lui. Adesso hanno calpestato la figura del mio eroe, che vagherà di terra in terra, oltraggiato e con il veleno in cuore per viatico.

Delia: Ti prego, calmati.

Pantea: Questo avete fatto, giudici sapienti! Ma io vi grido in faccia che lo venero, orsù dunque, esiliate anche me, e se mio padre, il folle, ha maledetto lui, che maledica anche me! E voi fiori del cielo, splendide stelle, appassirete anche voi? Calerà la notte, sì: la sua caduta mi ha reso veggente.

Delia: O Pantea, l’altezza dei tuoi lamenti mi atterrisce.

Pantea: No, cara, resterò calma e accetterò tutto quello che gli dei vorranno donarmi. Voglio rimanere calma, affinché la sua nobile immagine non si allontani da me. Vagherà notte e giorno per il mondo, oscure nubi gli faranno da tetto, e la dura terra sarà il suo giaciglio. Il vento gli scompiglia i capelli, e pioggia e pianto gli rigano le guance.

Delia: Quello che dici è spaventoso, Pantea.

Pantea: E’ così dunque che sai darmi conforto? Come possono gli dei tollerare tutto questo? Perché hanno taciuto quando lo scacciarono dalla patria con infamia e vergogna?

Delia: No, anima cara, non così. Calmati e allontaniamoci da qui. Molto può ancora mutare: il popolo potrebbe anche pentirsi. Andiamo, vieni, Pregherò tuo padre, e forse riusciremo a conquistarlo

Pantea: O dei, sì dobbiamo riuscire! Andiamo. (escono, mentre dal lato opposto entrano Empedocle e Pausania).

Pausania: In queste alture dell’Etna, l’anatema che ti è stato scagliato si discioglie nell’aria, quest’aria lieve, fresca, che lascia respirare il cuore e la mente. Forse qui troveremo qualcuno disposto ad offrire cibo e alloggio.

Empedocle: Si può tentare. Guarda, vedo uscire da quella capanna qualcuno, sembra un contadino.

Contadino: (Con diffidenza e sospetto) Chi siete, che fate da queste parti?

Pausania: Non badare al nostro abito stracciato, buon uomo, abbiamo molto sofferto per il cammino ed il nostro aspetto non ti deve turbare. Vuoi ospitarci a casa tua?

Contadino: Credo che un tempo vivevate meglio che ora. Lo deduco dal vostro portamento. Perché non andate in città? Non è lontana da qui, e qualche amico che vi ospiterà lì lo troverete di sicuro. Di dove siete?

Pausania: A che ti serve saperlo? Se ci ospiterai ti daremo dell’oro.

Contadino: L’oro spalanca molte porte, ma non la mia.

Pausania: Che vuol dire? Portaci del cibo ed esigi il tuo compenso.

Contadino: Troverete del cibo altrove più facilmente, non qui.

Pausania: Le tue parole sono dure, contadino. Ma così sia. Ti chiedo solo di darmi dal lino per fasciare i piedi sanguinanti di quest’uomo. Osservalo bene: egli è il benefattore della Sicilia, che davanti alla porta della tua capanna mendica pane e ombra che tu gli neghi. (il contadino li guarda girando loro intorno)

Contadino: Ora Vi riconosco. Costui è il maledetto di Agrigento! Mi ero insospettito al vedervi. Via, via, andate via. Sciagura!

Pausania: Per il Tonante, non andremo via! (a Empedocle) Amico diletto, che costui sia garante di te mentre vado in cerca di cibo. Vieni riposa qui sotto quest’albero. (Al contadino) E tu ascolta: se dovesse accadergli qualcosa da parte di chiunque, verrò qui di notte e darò fuoco alla tua casa di paglia. Pensa bene a quello che fai!

Empedocle: Perché ti angusti per me, figliolo caro?

Pausania: Ma io devo preoccuparmi della tua salvezza. Non credi?

Empedocle: Non preoccuparti per me. Presto sarà tutto finito, amico caro.

Pausania: Cosa intendi dire?

Empedocle: Presto lo vedrai.

Pausania: Come stai? Vuoi che ti vada a cercare del cibo, dell’acqua? Se non ne hai bisogno dillo chiaramente, perché io preferirei stare qui con te.

Empedocle: Guarda: vedi quella splendida fonte? Ti chiedo solo di andare lì con il tuo recipiente e di portarmi un po’ d’acqua, perché il mio spirito possa dissetarsi. Ma prima di tornare, disseta te stesso. (Pausania esce e poco dopo torna con una coppa d’aqua).

Pausania: (porgendogliela) Che gli dei ti siano propizi.

Empedocle: Io alzo la coppa in offerta a voi, miei numi, per la vostra lunga benevolenza, ed a te, Natura, per il mio ritorno. Ormai tutto è mutato. Figlio mio, sii sereno e ascoltami: non si parli più di quel che è stato.

Pausania: Tu sei mutato e il tuo sguardo risplende come quello di un vincitore. Davvero non capisco.

Empedocle: Oggi rimarremo insieme e parleremo di molte cose.

Pausania: Sì, ti prego. Parla, spiegami, affinché possa anch’io esser lieto come tu ora sei.

Empedocle: Ma non vedi come torna il bel tempo nella mia esistenza?

Pausania: Che intendi dire?

Empedocle: Adesso saliremo fin sulla cima dell’ antico e sacro vulcano. Gli dei sono presenti sulle altezze più che non altrove. Da lassù voglio vedere il sole, i fiumi, il mare. Osserveremo le immortali stelle. E poi vedremo il fuoco salire dalle profonde voragini della terra, mentre lo Spirito che tutto muove ci accarezzerà il volto.

Pausania: Le tue parole mi spaventano. Tu parli per enigmi. Piuttosto preferirei vederti triste. Dunque non ti brucia più l’affronto che ti fecero?

Empedocle: O dei, anche costui deve tormentarmi? (a Pausania) Non è più tempo di commentare le mie sofferenze. Tutto è ormai lontano. Ma tu hai ancora davanti agli occhi il sacerdote maledicente e lo scherno della plebaglia. Non turbarmi più, ti prego. Tutto si risolverà per il bene. Presto mi riconcilierò con gli dei e coi mortali.

Pausania: Ma allora la tua tristezza è guarita! Domani scenderemo lieti verso il mare e da lì salperemo verso rive sicure.

Empedocle: Sei proprio un fanciullo. Va’, figlio, non vorrei rivelarti per intero il mio disegno. (Pausania guarda verso le quinte) Cosa c’è, cosa guardi?

Pausania: Una gran folla si avvicina.

Empedocle: Li riconosci?

Pausania: Cielo! Non credo ai miei occhi.

Empedocle (dopo aver guardato) E’ lui, il mio nobile avversario, il prete con tutto il suo seguito. Mentre l’anima mia si riarmonizza con la Natura sempre pronta al perdono, la plebaglia mi riassale. E sia! Venite! Non m’avete ancora perdonato il bene che vi ho fatto? Venite pure sciagurati! Posso raggiungere gli dei anche furente.

Ermocrate: Non temere o Empedocle. Coloro che ti cacciarono ti hanno perdonato.

Empedocle: Impudenti, aprite gli occhi e vedrete fino a che punto siete vili.Sciagurati, non sapete dunque arrossirre?

Ermocrate: Ormai hai espiato tutto il male commesso. Torna fra noi: il popolo ti accoglierà benignamente.

Empedocle: Vedo davanti a me una massa di inquieti vagabondi simile ad un brulichio di ombre di insepolti. Pur di non tornare alla vostra miseria, vorrei vivere fra gli animali dei monti, sotto la pioggia o il sole cocente.

Ermocrate: E’ così che ci ringrazi?

Empedocle: Prete, perché sei venuto qui? Non avevi più pace? A tal punto eri tormentato dalla mia vita? Mostro, hai creduto di rendermi simile a te solo imponendomi sul volto la maschera della tua ignominia? Stupida idea, codesta. Noi seguiamo vie diverse. Il tuo disegno è compiuto. I tuoi intrighi non raggiungono la mia felicità. Lo capisci questo?

Ermocrate: Come faccio a comprendere chi delira?

Crizia: Ermocrate, adesso basta. Tu esasperi la sua collera di oltraggiato.

Pausania: Se le vostre intenzioni erano buone, perché vi siete accompagnati a questo freddo sacerdote abbandonato dagli dei? Osservate bene: (indica Empedocle) il più divino cade per mano del più volgare. Procedi, Empedocle, lungo il cammino che hai scelto! Non posso impedirlo, anche se il sangue mi brucia nelle vene. Ma costui, che ha coperto d’infamia la tua vita, io lo saprò stanare quando mi lascerai, e se anche si rifuggiasse sull’altare, a nulla servirà. (a Ermocrate) Hai sentito, prete? Io mantengo la parola data.

Ermocrate: Cittadini!

Agrigentino:Taci, prete! Con le tue menzogne hai traviato i nostri cuori e ci hai reso malvagi, ed il semidio ora non ci riconosce più. Quando i nostri figli cresceranno ci rinfaccieranno l’uccisione del messaggero degli dei. Hai addossato a noi la sua maledizione. Piega, piega le tue ginocchia davanti a lui: a terra! Giù! La tua malvagità ci assalì come una peste inattesa.

Empedocle: Il sole volge ormai al tramonto, figli miei, e questa notte devo riprendere il cammino. Troppe parole sono state dette. Il passato si è ormai dileguato, e per il futuro ci lasceremo in pace a vicenda.

Agrigentino: Noi ti supplichiamo di ritornare con noi, perché tu possa ancora amarci. Se torni ad Agrigento noi ti faremo re, il nostro re.

Empedocle: L’epoca dei re è ormai finita.

Agrigentino: Non riusciamo proprio a capire le tue parole, o Empedocle.

Empedocle: L’aquila non trattiene nel nido i suoi piccoli per sempre. Provvede a loro quando sono ciechi, ma allorché vedono la luce del sole ed hanno messo le ali, essa li lancia fuori dal nido, perché imparino a volare. Non è decoroso volere ancora un re. Nessuno più può aiutarvi all’infuori di voi stessi.

Crizia: Per tutti gli dei dell’Olimpo, perdona! Tu sei grande, oltre che tradito!

Agrigentino: Perdona e rimani con noi. Vivrai in pace nei tuoi giardini solitari, fino a che dimenticherai il torto subìto.

Empedocle: Miei cari, io vi ho già perdonato, ma ora devo lasciarvi. Mi avete offerto una corona! In cambio prendete quanto ho di più sacro: oggi è il mio giorno autunnale ed il frutto cade da solo, prendete. Cari, non vi lascio disperati! Non temete! Rinnovatevi in una giovinezza nuova: è dalla morte purificatrice, che nel tempo adatto si rinasce. Assecondate la Natura, prima che si impadronisca di voi! Coraggio, osate! E rinascendo alzate gli occhi alla Natura divina. E quando la Vita Universale vi conquisterà e cullerà la vostra anima, sorgerà un nuovo giorno: uno spirito di pace vi conquisterà e divederete i beni tra voi. Quando ama, l’uomo dona il meglio di sé.

Crizia: Dove vai? Solo se sarai vicino, l’anima di questo popolo vivrà e prospererà per dare nuovi frutti.

Empedocle: Quando sarò lontano, parlerà per me la divina Natura. Essa non richiede discorsi e la sua fiamma celeste agisce in eterno rendendovi felici.Non vi è ormai nota la voce degli dei? Io la intesi fin dal mio primo respiro, al primo sguardo, e la considerai superiore alla parola umana. Dal cielo mi incitavano: in alto! Ed ogni spirare di vento eccitava ed eccita la mia ansiosa nostalgia. Se io indugiassi qui, sarebbe come se l’adolescente si dilettasse ancora coi suoi giochi d’infanzia. (Entra Holderlin e il falegname)

Holderlin: Oh, Empedocle! Lascia che parli un poco io per te. Ascoltate agrigentini: io, Empedocle, ho vissuto. Come dalle vette degli alberi si stacca il fiore e il frutto d’oro, come dal suolo buio spunta il grano e il fiore, nello stesso modo, da fatiche e pene maturò per me la gioia e scesero dal cielo forze amiche. Nel mio petto vennero tutte le tue gioie o Natura, e quando consideravo la bellezza della vita, una sola preghiera rivolgevo agli dei: che se un giorno non avessi più sopportato la felicità senza vertigine, se la ricchezza della mente si fosse trasformata in stoltezza… (fa cenno ad Empedocle di continuare)

Empedocle: Se la ricchezza della mia mente si fosse trasformata in stoltezza, mi ammonissero fulmineamente e mi mandassero nel cuore un destino inatteso, affinché potessi intendere che era giunta l’ora della mia purezza e non divenissi tra la mia gente una vergogna, uno scandalo o uno zimbello. Mi hanno esaudito. Mi fu inviato un potente monito, e se non lo intendessi sarei come un ronzino che non avverte lo sprone. E allora non chiedete che a voi ritorni. Lasciatemi dunque. Che altro potrei fare ancora fra voi?

Agrigentino: Ci serve il tuo consiglio.

Empedocle: Interrogate… (si interrompe e fa segno a Holderlin di continuare)

Holderlin: Sì, interrogate questo giovane (indica Pausania) La saggezza più alta nascerà dal suo spirito. Mio caro…(si interrompe e riprende a scrivere con la sua penna d’oca ed il suo leggio, mentre la tragedia procede)

Empedocle:Mio caro Pausania, vado via volentieri; dopo di me tu vivrai. Io fui soltanto la nube del mattino e sono fiorito solitario quando il mondo era immerso nel buio e nel sonno, mentre tu sei nato nel giorno luminoso. Io ho aperto la via, lui vi accompagnerà.

Crizia: Ai miei occhi tutto è buio fitto: non riesco a vedere cosa intendi fare, né posso dire: resta! Ma aspetta ancora un giorno, spesso l’attimo ci afferra meravigliosamente e siamo trascinati via con la fuggente vita. La mia anima è triste o Empedocle.

Empedocle: Colui dalla cui bocca lo spirito ha parlato, deve congedarsi per tempo. Il mortale che è stato colmato di delizie dalla Natura, deve infrangere il vaso, affinché il divino non si trasformi in opera umana. Lasciate che gli spiriti liberi, gli eletti, al tempo stabilito si sacrifichino prima che si spengano in superbia, prepotenza e vergogna. E’ questa la mia sorte. Rispettatela!

Crizia: (all’agrigentino) E’ inflessibile ormai, ed il mio cuore prova vergogna a rivolgergli ancora parole.

Empedocle: Vieni, Crizia, porgimi le tue mani, ed anche voi, tutti. Non piangete, poiché sacra è la mia morte e già… oh aria, aria che accarezzi chi è rinato e lo avvolgi amorevolmente, io già ti sento come il navigante che, giunto presso i boschetti in fiore dell’isola natia, sente il suo cuore palpitare più forte. L’animo mio vi benedica tutti. Ora andate e salutate la città paterna.

Crizia: O uomo sacro, sì, sacro! Sono dominato da te e riconosco con venerazione il tuo destino. Ma… era proprio necessario? Tutto accadde con estrema rapidità. La gioia, come una brezza di vento, viene e ci lascia: chi potrà mai dire che hai vissuto con noi? (vanno tutti, rimangono solo Empedocle e Pausaania)

Pausania: Tutto ormai è passato, o Empedocle, è volato via come un sogno. Io non ti riconosco più.

Empedocle: Non hai dunque compreso?

Pausania: Comprendo solo il mio cuore ed il suo dolore d’amore.

Empedocle: E allora concedi l’onore al cuore mio.

Pausania: Ma solo nella morte c’è onore?

Empedocle: Non esiste altro per me.

Pausania: Ahimé, è dunque vero?

Empedocle: Vuoi che sopravviva come uno schiavo al giorno del mio disonore?

Pausania: No, non voglio. Muori, dunque, caro, e rendi testimonianza di te stesso! Se è necessario.

Empedocle: Lo sapevo, anima eroica, che non mi avresti lasciato senza darmi gioia.

Pausania: Dov’è il dolore ormai? Un’aureola ti cinge il capo, ed il tuo sguardo mi trafigge ancora una volta coi suoi possenti raggi. (Empedocle impone le mani sulla testa di Pausania)

Empedocle: Io imprimo su di te le mie promesse: tu diventerai grande. Brillerai come giovane fiamma e saprai trasmutare tutto ciò che è mortale in fuoco e anima. Adesso da mortale discendo per la mia via di fuoco vivo. Questo è il mio privilegio.

Pausania: Il tuo sguardo, al cospetto degli dei è limpido ed il tuo genio magnifico risplende sulla terra. Tutto ciò dovrebbe ora perire?

Empedocle: (affettuosomante) Ma figlio stolto! Dorme forse, si arresta il sacro puro spirito della vita? Sempre gioioso, mai lo vedrai languire entro prigioni, né indugiare in luoghi senza speranza. (alza le mani al cielo) Giove liberatore!… Prepara per me la mensa, affinché possa ancora una volta assaporare il frutto della vite, e che lieto e grato sia il mio commiato. (Fa un cenno a Pausania perché vada) E’ maturato il tempo. Mi stupisco come se la mia vita cominciasse ora. Solo adesso io sono . Eccomi, Padre del cielo. Occhi miei, il vostro solerte servizio è finito. Sì, ecco! Un brivido di desiderio: la morte infine infiamma la mia vita? E tu Natura mi porgi il calice tremendo e spumeggiante di questo cratere, affinché il tuo cantore possa bere l’entusiasmo supremo! (gridando di gioia) Sono felice! La mia gioia è compiuta. (Empedocle è appena scomparso dentro un rosso mantello simbolico, porto dalle quinte. Entrano di corsa Pantea e Delia)

Pantea: Prendilo, portalo via, Natura! Tu che tutto hai donato a lui, e lui a noi.

Delia: Senti come in questo punto il mondo è così bello? Chi è quel giovane straniero che viene verso di noi?

Pantea: E’ Pausania, orfano come noi del padre.

Pausania: Mi ha allontanato e mi ha detto d’aspettare per tutta la notte. L’ora a me più cara fugge più rapida di una freccia. La morte dell’uomo grande esalta, ma a me procura solo strazio. Gli uomini migliori partono verso le sponde della morte lieti, suscitando in noi la vergogna di rimanere tra i mortali. (Entrano il falegname e Holderlin, che con esagerati inchini saluta i tre)

Honderlin: Oh amata Natura. Il tuo abbraccio mortale ha reso quest’aria zuppa d’amore. L’amico del claudicante Vulcano, il principe degli elementi, ha avuto il suo pasto. Empedocle si è tuffato nel fuoco dell’Etna, mentre io mi sono immerso nel fuoco della follia. (Dalle quinte vengono gettati in scena due sandali. Holderlin li raccoglie). Di lui è rimasto un paio di sandali, di me (indica se stesso), quello che vedi: questo corpo è il mio sandalo, ed esso porta a spasso per le tue pianure soltanto inchini e sberleffi. (Si inchina al pubblico, ma il falegname lo porta via amorevolmente).

F I N E

© Rivista letteraria Lido dell’anima / Revista literară Lunca Sufletului

Numero 6

Periodico trimestrale bilingue italiano / rumeno 

25 settembre 2018

Racconti dell’anima

E alla fine c’è la vita
di Davide Rossi
Apollo Edizioni (estratto dal libro)

Inverno 2009
Forse è la solita storia, o forse lo è solo per alcuni, si è giustificata qualche anno dopo, perché in fondo lei sapeva che la vita è strana e comunque lei era al secondo anno di università, stava facendo l’Erasmus alla facoltà di Farmacia dell’Università di Pavia, un venerdì di gennaio ed era fuori a tal punto che era finita a letto con un professore, un certo Tacchi o Facchi (?): lo avevano fatto in una stanza della cascina, dove poco prima la squadra di canottaggio si era sbronzata di brutto per festeggiare. Lei, in realtà, stava dietro a un altro, Marco, un
ragazzo di Farmacia un po’ tossico un po’ stronzo, ma carino e affascinante. Era un fuori corso, a cui piaceva sballarsi insieme ad altri due, Alberto e Oliviero, credo si chiamassero, o forse Alfonso, due di architettura. Marco quella sera era ben vestito, le parlava con sicurezza, la guardava stordito dall’alcol e dalla droga, il suo tono era suadente, sicuro. Mentre snocciolava una serie di aneddoti e nomi, Marika si accorse dello sguardo indagatore di Rosanna, una bella ragazza del
quinto anno, che li fissava, forse gelosa, forse solo curiosa. – Vado in bagno – disse Marika defilandosi dal ragazzo. Mentre si allontanava pensava a Marco e a Jorge. Quanto desiderava vedere Jorge, aveva bisogno di una riga.

Capitolo 2

L’inutilità di chiamarsi Marianna Università,

ore 16.06 21 gennaio 2009 La luce del bagno è accesa, dietro la porta a specchio che divide il lavandino dal gabinetto s’intravedono due figure: una è inginocchiata, l’altra in piedi. La ragazza bionda sta vomitando, si chiama Marianna, mentre l’altra, Rosanna, la mora, la sta assistendo. ROSANNA Sbronza ieri? MARIANNA Eri con me, stronza… Rosanna ride, mentre Marianna si alza, visibilmente provata, e tira l’acqua. Abbassa la tavoletta e si siede sul water. ROSANNA Mario? MARIANNA Non lo vedo più, sai è amico di Marco, volevo solo fare un dispetto a quello stronzo. ROSANNA Paci? MARIANNA Ti interessa? ROSANNA Non è male. Marianna ridacchia. ROSANNA Che c’è? Bussano alla porta esterna del bagno. ROSANNA Occupato… ed è una cosa lunga! Si volta e guarda l’amica: le occhiaie sono evidenti e la faccia è sbattuta. ROSANNA Allora? MARIANNA Cosa? ROSANNA Mi vuoi dire perché ti sei messa a ridere? MARIANNA Niente, è che io per Marco… ROSANNA Ti piace ancora? MARIANNA Forse, scopa bene… Rosanna ride.

Capitolo 4

L’inutilità di chiamarsi Marika Mensa universitaria,

ore 17.57, 21 gennaio 2009 Il bar è pieno di studenti. La barista, una ragazza molto carina dai capelli mori portati corti, sta servendo un amaro al professore, il professor Tacchi, un uomo di mezza età, che porta un paio d’occhiali dalla montatura classica. TACCHI Credi di venire domani a lezione? La ragazza chiude la bottiglia e la ripone sullo scaffale alle sue spalle. MARIKA Dipende dall’orario. Tacchi beve un sorso. La sua concentrazione torna sulla ragazza, la fissa in maniera ambigua. TACCHI Farmacocinetica va seguita, amata. Marika sciacqua le tazzine. MARIKA Lo so, però non ho nessuno che mi mantenga.

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Numero 4

Periodico trimestrale bilingue italiano / rumeno 

25 marzo 2018

Racconti dell’anima

Il BAMBINO CHE GIOCAVA CON IL VENTO

di Iana de  Muro

Lorenzo insegnava  italiano in una scuola superiore. Per più di quindici anni aveva fatto il maestro elementare e conservava un bel ricordo della scuola primaria, soprattutto di una classe, una quinta, dove aveva avuto come alunno un bambino indiano di nome Shanti, nato in Italia poiché i genitori si erano trasferiti per  lavorare presso una ricca famiglia di un paesino vicino a Roma dove Lorenzo insegnava.

Il suo nome in sanscrito significa pace ed era proprio mite e tranquillo. Parlava benissimo l’italiano e non aveva mai mostrato difficoltà a relazionarsi con i compagni, ma da parte di  Davide,  un alunno caratteriale,  non fu ben accetto da subito.

Quella di quell’anno in corso era una classe abbastanza omogenea, se non fosse per la presenza di Davide, alquanto irriverente, oggi diremmo, un “bullo” che con le sue bravate, non faceva altro che comunicare il suo profondo disagio interiore.

Il maestro era sempre riuscito a fare in modo che  non creasse problemi ai compagni, ma l’arrivo di Shanti lo sconvolse in maniera esagerata.

Lorenzo intuì che qualcosa lo infastidiva. Di Shanti, Davide,  forse, non sopportava il fatto che fosse tranquillo, imperturbabile e pacifico, infatti, anche quando qualche compagno lo provocava, non perdeva  la calma e non arrivava mai al litigio.

Ciò che a Davide non piaceva era  proprio la qualità che a lui mancava e di cui inconsciamente era forse invidioso: la mitezza.

Così, da subito, manifestò una sorta di rivalità nei confronti del compagno e l’unico suo obiettivo era di coglierlo in fallo per trovare la scusa di litigare. La prima cosa  a cui pensò era di prenderlo in giro per la lingua, ma rimase deluso quando sentì parlare Shanti con un italiano perfetto. Allora dovette pensare a qualcos’altro per mostrare la sua insolenza.

Un giorno, durante un’interrogazione, in cui gli alunni dovevano parlare di come trascorrevano il tempo, una volta finiti i compiti della scuola, mentre parlava Shanti, successe quello che Davide attendeva da tempo.

“Quando i miei genitori sono fuori per lavoro – disse il bambino indiano – io mi sento solo, allora  vado fuori e gioco con il vento”

Il maestro e gli altri alunni ascoltavano con rispetto le parole proferite con voce pacata da Shanti, mentre Davide, non appena il compagno terminò la frase, proruppe con una risata sardonica e per tutta risposta disse:

“Il vento non è una persona e con il vento nessuno  può giocare” prolungando, in tono beffardo, la risata.

Shanti, imperturbabile non si scompose. I suoi  occhi neri sembravano emanare una pace disarmante e, quanto mai radioso nel volto, disse rivolto a Davide: “Tu parli in questo modo perché con il vento non hai mai giocato, ma se vuoi, possiamo giocare assieme e vedrai che belle emozioni proveremo”.

Davide, con la prepotenza che lo caratterizzava, lo apostrofò dicendogli:

“Tanto, se decido di giocare con te, vinco io”.

“Non importa chi vince, l’importante è che giochiamo assieme” rispose Shanti. Davide abbassò la testa, dopo si girò per guardare i compagni, poi il maestro e non ebbe il coraggio  di replicare.

Ci fu un attimo di silenzio e nessuno osò dire niente, poi Shanti, ripreso il discorso, come se niente fosse accaduto, continuò a parlare per finire il suo racconto di come lui si divertiva a giocare con il vento.

“A me piacciono molto gli aquiloni – disse – Li costruisco da solo e dopo averli colorati, li faccio volare; mi sembra di stare anch’io in alto con loro, accarezzato dal vento. E’ una sensazione di grande libertà che ti fa sentire leggero come una farfalla. Oppure faccio le barchette di carta e dopo averle poggiate sull’acqua di una piccola vasca che c’è nel giardino, mi diverto a vederle scivolare” disse il bambino nel cui volto traspariva una grande gioia perché il solo ricordare quei giochi gli procurava felicità.

Per alcuni istanti nell’aula regnò il silenzio: nessuno osò dire o fare battute, tantomeno Davide che per la prima volta nella sua vita si sentì sconfitto.

Quel giorno, in classe era accaduto qualcosa di sgradevole, ma nello stesso tempo, grazie alla bontà di Shanti, in un attimo accadde quello che forse non sarebbe successo nell’ arco di una vita: il cambiamento di una persona. Davide, infatti, da quel giorno non si azzardò mai più a mettere a disagio Shanti e con nessuno osò ricorrere alla prevaricazione.

Nel ricordare quell’episodio, Lorenzo si commuoveva e accadeva spesso, quando qualche alunno si comportava in maniera scorretta che lo richiamasse all’ordine e poi rivolgendosi all’intera classe diceva: “se avete un po’ di pazienza ora vi racconto una storia intitolata:  “ Il bambino che giocava con il vento” .

Il maestro raccontava l’accaduto, mettendoci lo stesso pathos di quando si raccontano le fiabe; riusciva sempre a catturare l’attenzione degli alunni che  sempre si emozionavano e più di una volta gli era capitato di scorgere qualche volto rigato dalle   lacrime.

E’ una storia vera? Chiedeva sempre qualche alunno.

“Sì è vera, rispondeva l’insegnante, è capitata a me quando insegnavo alle elementari”.

Tutte le volte era come se calasse un sipario sulla scena perché per un po’, il silenzio regnava nell’aula.

Come una lama che fende una lastra di ghiaccio, quella storia riusciva a fare breccia nei cuori più induriti che mai più osavano ricorrere alla prepotenza.

Lorenzo serbava nel suo animo il ricordo della tenerezza di Shanti, a cui faceva da contraltare l’arroganza di Davide, grazie al quale, comunque, parecchi alunni poterono cambiare.

Molti  cuori, infatti,  si erano trasformati dopo aver sentito la storia di quella giornata    scolastica davvero particolare sul  bambino  deriso che raccontava di  giocare con il vento

Sul molo

di Maria Rizzi

Il petto di Aurora batte sillabe perse, s’addensano i pensieri, fagottini di neve, il senso del tempo cede il testimone al sogno.

Lei e Marcello sul molo. Nel mare le navi lanciano grida di ferro simili agli urli degli alberi quando vengono abbattuti. Loro si accucciano accanto al faro. Aurora ha pelle di porcellana, capelli castani ribelli, gli occhi di fuoco. Lo scirocco soffia pollini, petali e polvere e Marcello si consuma in baci e promesse per proteggerla e proteggersi dalle trame invisibili che lo allontanano da lei.

Talvolta sembrano poche le ragioni per dire la verità e quelle per mentire appaiono infinite.

Sono trascorsi venti anni. Aurora è sul molo, come ogni sera.  All’ombra del faro.

E’ l’imbrunire, il mistero irrisolto del giorno, vicino alle ombre eppure distante dalla notte. Il loro momento. Continua ad attenderlo. Persa in pensieri che hanno rinunciato ai suoni.

Dal giorno in cui Marcello non si è presentato all’appuntamento la donna ha cominciato a morire.

Troppo stanca la madre per sostenerla. Sapeva che il giovane fragile e ambizioso non avrebbe mai scelto come sposa la figlia di una ragazza-madre che lavorava come donna delle pulizie. Aurora era un’esplosione di vita e di progetti, ma si era adattata a stare alla cassa del bar del porto, relegando nel cassetto il sofferto e inutile diploma di scuola superiore.

Liliana, la figlia del direttore di banca, rappresentava la sicurezza, il futuro. Marcello la frequentava e a poco a poco se ne innamorava. Di quell’amore senza incanti che talvolta rappresenta una solida base per i rapporti duraturi:  è sposato con lei da vent’anni, lavora in banca come funzionario, ha tre figli e conduce una vita agiata. Si è trasferito in centro e non è mai tornato nella zona del porto.

Aurora, dopo la morte improvvisa della madre, vive nella Casa-Famiglia “Le Mimose”.

I medici l’hanno dichiarata incapace di intendere. Ha bisogno di assistenza  e di cure. Non parla, mangia pochissimo e si occupa della propria persona come di un ospite sgradito. Molti la credono malata di mente, i più sensibili autistica.

Di certo tutti gli assistenti sanno che all’imbrunire devono accompagnarla sul molo. Nel pomeriggio comincia a dimenarsi come un’invasata e a correre verso il cancello. Il senso della sua esistenza è tutto lì. Nell’appuntamento con il nulla.

Rannicchiata sulle pietre erose dalla spuma, sembra una piccola statua di dolore. E dà segni di vita.

Riverberano gli occhi dell’antico fuoco e le labbra inaridite soffiano sussurri. Sembra placarsi il tormento.

A nessuno è dato ascoltare il frastuono delle voci di dentro.

“Bellissimo arabesco il tuo viso affilato, gli occhi d’oro intarsiati di sfumature verde minerale, i riccioli neri, il mento quadrato con la dolce fossetta . Quante stagioni hanno cercato di cancellarlo! Quale vento crudele vuole falciarlo nell’ora azzurra del giorno, di ogni giorno del nostro tempo?”

Aurora avverte il mondo come puro baccano. L’unica isola tranquilla il fiato dell’incontro con il suo amore. Nelle stanze del cuore le domande hanno compiuto per anni il loro dannato girotondo. Le risposte rappresentavano rumori lontani, crudeli. La storia si è fermata sul molo. E, all’ombra del vecchio faro ricomincerà …

Al bar del porto, lo stesso nel quale aveva lavorato come cassiera, tutti sanno di lei. La chiamano “la matta”. Non la prendono in giro. Non più. E’ una figura abituale, stagliata sull’imbrunire.

La vita sembra impennarsi di fronte alle vicende scontate.

Nel bar maleodorante di sudore, birra e salmastro entra un avventore. E’ magro, muscoloso e ossuto, di carnagione scura. Ha una barba rada brizzolata, gli occhi grigio-verdi. Veste in jeans, giubbotto di pelle e scarpe da ginnastica.

Ordina una birra e si siede a sorseggiarla davanti al locale, di fronte al faro. La sagoma di Aurora oscilla nel vento della sera e sembra buffa marionetta manovrata da un invisibile filo.

L’uomo non stacca gli occhi dal suo profilo. I due anziani che giocano a carte al tavolino accanto al suo gli si rivolgono con voce impastata dall’alcool: “E’ la matta”, dice il primo senza interesse;  “Muore d’amore da vent’anni”, aggiunge  l’altro con tono pietoso.

L’uomo ascolta in silenzio. Abita a pochi chilometri, guida il camion per intere giornate e non si è mai fermato al porto. Non conosce la vicenda della ”matta innamorata”.

Chiede maggiori delucidazioni all’anziano barista e questi conferma la storia di Aurora: “Avrebbe dovuto vederla da ragazzina … uno schianto. Lavorava qui, alla cassa, ma non dava confidenza a nessuno. Viveva per lui, per quel verme che l’ha illusa e abbandonata da un giorno all’altro. Dicono che nessuno impazzisce  o muore per amore, beh … Aurora è la dimostrazione del contrario. Ha meno di quarant’anni e guardi com’è ridotta … Uno spettro, una vecchia senza voce, senza testa, senza… Lasciamo perdere, è meglio.”

Lo sconosciuto posa la birra, si alza, si dirige verso la piccola figura rannicchiata sul molo.

Gli assistenti sono soliti trascorrere le due ore della sera nel pub. La donna non va controllata, solo accompagnata e attesa. I riti sono sempre gli stessi e non corre pericoli.

Il profumo d’acqua salata e di alghe investe le narici e flutti indolenti lambiscono le rocce. Il mare diviene l’unico orizzonte. L’uomo ha semplicemente attraversato la strada e, di colpo, comprende di trovarsi su un’isola. L’ultimo sole lacera il manto delle nuvole con il suo rosso acceso e Aurora prende consistenza. E’ bella, nonostante tutto. Magrissima, trascurata, con i capelli aridi e sfibrati, gli occhi spenti solcati da un ventaglio di rughe. Bella e fiera. Dondola su se stessa persa in sussurri impercettibili e possiede una grazia quasi commovente.

“Nel gioco della vita ha estratto il bastoncino più corto”, pensa l’uomo avvicinandosi con cautela.

Un battito di ciglia e Aurora avverte la presenza. Ha maturato un istinto quasi ferino.

Si volta, incrocia lo sguardo verde-fiume dello sconosciuto e … perde l’orientamento. Inaspettato avverte il colpo al plesso della nostalgia. Marcello è lì, come ogni sera e la guarda con la consueta, infinita tenerezza.

Tutto è compiuto. Rotola l’anima in amore, eccitata, priva di freni inibitori … S’innalza, con colpo d’ala, in puro abbandono.

I due si ritrovano abbracciati. L’uomo comprende l’equivoco, ma è tardi. Aurora ha carezze, sguardi, attese che lo coinvolgono. Non può ferirla. Non più. E quanto sono caldi quei raggi di pietra umida che lo trattengono, quanto è lieve il tocco delle mani gracili!

“Amore”, sussurra la donna con voce stentata di bimba e avvicina le labbra di sale alle sue di birra e tabacco.

Amore… nessuno lo chiama così da un’eternità. Lo sconosciuto è sposato con una donna sterile di grembo e di sentimenti. Condividono la casa, i soldi, i pasti e null’altro.

Aurora è il canto che non ha mai ascoltato. Accarezza ogni palmo della sua pelle, si perde in baci lunghissimi e continua a sussurrare quella parola dimenticata che non gli appartiene.

Entrano con semplicità nella vertigine dell’abbandono. La vita di sempre va avanti senza di loro.

In mare le navi lanciano grida di ferro, le ombre scendono lentamente. La donna piange di gioia. Le fanno male i desideri, il cuore, i capelli… Lo bacia con disperazione per ingannare il tempo, indurlo a fermarsi, a divenire istantanea di un altro giorno, di un’altra vita.

Aurora riprende l’uomo dentro di sé, dove non potrà più succedergli niente e il camionista tocca l’acme della musica che non gli appartiene piangendo come un bimbo.

Intanto gli assistenti, un po’ intontiti e un po’ sbronzi escono dal pub. Aurora non è sul molo, come sempre. Uno dei due giovani corre verso il faro preoccupato e, scorgendo i corpi seminudi degli amanti, si lancia istintivamente sull’uomo. “Corri”, urla, rivolgendosi al collega, “uno stronzo la sta violentando!”

Lo sconosciuto viene inghiottito di colpo dalle tenebre. I due assistenti lo riempiono di calci e pugni, aiutati dai clienti del bar accorsi in un baleno. Il barista chiama i carabinieri e l’ambulanza.

Nel caos Aurora perde ogni punto di riferimento. Stanno massacrando Marcello. Nessuno ha pietà del loro amore. Non è pronta a perderlo di nuovo. Non dopo l’estasi di luce, dopo aver respirato all’unisono con il suo respiro e pianto le sue stesse lacrime.

Il mare non sostiene lo sguardo, ma i piedi. Di colpo ne è convinta. E, come angelo smarrito, abbandona a passi svelti il molo per tuffarsi tra le creste di spuma.

Un assistente non esita a seguirla. Recupera l’esile corpo e, senza fatica lo trascina verso le rocce. Aurora non dà segni di vita.

Il 118 e le macchine dei carabinieri giungono sul posto. Il camionista, pestato a sangue, si lascia arrestare. Non avrebbe la forza e le parole per difendersi.

Aurora viene visitata dal medico e dall’anestesista. Il fisico debilitato ha ceduto subito.

Come sole sbiadito d’inverno, la donna è tramontata in un mare freddo e distante, così come aveva trascorso il suo flebile giorno. Diafana, sopraffatta dalle vite degli altri, sorda agli ambigui bisbigli, alle urla di fuori, stremata dai fragori di dentro. Lascia dietro di sé scie crudeli che non le appartengono.

 

RIVISTA LETTERARIA  LIDO DELL’ANIMA Anno 2017 – di Lidia Popa

©

Buon Natale! Felice 2018! 

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Numero 3

Periodico trimestrale bilingue italiano / rumeno 

25 dicembre 2017

Racconti dell’anima

Il mio amico telepatico

di © Antonio de Lieto Vollaro

Tutto è iniziato in…

Una giornata uggiosa di quelle autunnali, con pioggia a dirotto, le sue leccate in faccia mi dicevano di adempiere ai miei doveri quotidiani di padrone. Viviamo da un po’ di tempo da soli io, un ispettore di polizia, approdato da poco a Roma, dalla buon costume di Milano alla Narcotici, e Ira, il mio pastore tedesco. A lei devo questo trasferimento. Non è un’agente scelto dei cani poliziotti della Narcotici: Ira è una femmina dolce e quieta, non è pura; mi fu regalata dai miei familiari all’inizio della mia carriera. Quando andai a vivere da solo a Milano per lavoro, dovetti per forza portarmela dietro, perché era visceralmente attaccata più a me che al resto della famiglia.

L’appartamento in cui abitiamo a Roma non è grande, tuttavia, ce lo siamo fatto bastare:  nell’unico terrazzino disponibile, Ira si è fatta la sua cuccia: lì staziona durante il giorno, mentre la notte ha l’abitudine di accoccolarsi accanto al mio letto. È la mia ombra, nessuno può avvicinarsi a me.  Lo fa solo dietro un mio segnale, tranne che non fiuti un pericolo, in tal caso mi ringhia sottovoce, per avvisarmi di stare in guardia. Non ha mai dato fastidio a nessuno, anzi, ha fatto sempre la guardia di notte a tutto il palazzo, abbaiando solo per avvertire delle presenze minacciose. A casa non sporca e puntuale attende di uscire per fare i suoi bisogni, nel parco vicino. Mi segue a lavoro. Ormai è stata adottata da tutta la squadra, divenendo la nostra mascotte, anche se ufficialmente non in servizio.

Una notte fui chiamato per un’emergenza in una delle zone malfamate della periferia di Milano, precisamente a Sesto San Giovanni, dove erano state segnalate delle ragazze per la strada che adescavano clienti. Ebbi il tempo di farle fare i primi bisogni della mattina e, anche se non era giunta ancora l’alba, saltammo in macchina, senza sirena, per non rovinare l’effetto sorpresa, raggiungendo il luogo indicato in pochi minuti. Molte delle ragazze straniere, per lo più dell’Est Europa, all’arrivo di pattuglie delle volanti chiamate dai residenti, cominciarono a scappare in tutte le direzioni. Fuga inutile, perché subito furono circondate e fermate dagli agenti. Improvvisamente apparvero delle macchine ad alta velocità, dalle quali furono esplosi dei  colpi contro le nostre volanti. Ne nacque un conflitto a fuoco, non di piccole dimensioni; poco dopo, infatti, sopraggiunsero altri individui armati, a dar man forte ai loro amici criminali. Purtroppo gli agenti delle volanti, non si trovarono adeguatamente preparati a fronteggiare uno scontro di quelle dimensioni. Le loro pistole d’ordinanza, seppur fornite di diverse munizioni, poco poterono fare contro i kalashnikov russi o Barret m107a, dotati di munizioni così potenti da perforare quasi un’auto blindata. Tra gli agenti, si contarono diverse vittime, nonostante alcuni di loro si fossero riparati con gli sportelli delle auto; i proiettili riuscirono a perforare la debole lamiera delle auto. Per fortuna o quasi la mia si trovava parcheggiata distante, evitando così di essere scalfita dai proiettili vaganti. Inoltre il cane avrebbe rischiato di essere trivellato dai proiettili. Raggiunta l’auto per chiamare i rinforzi, vidi ad un certo punto Ira con un guizzo, scendere dalla vettura e correre in direzione di quell’inferno. Feci appena in tempo a chiamare via radio i rinforzi, che le corsi dietro, con il cuore in gola, temendo che l’avessero colpita. La scorsi da lontano entrare dentro una di quelle auto e grattare nei sedili. I rinforzi arrivarono, come in uno sceneggiato americano, appena in tempo per convincerli a deporre le armi e arrendersi. In entrambe le autovetture, vennero rinvenuti diversi pacchi di cocaina finissima, già lavorata e pronta allo smercio. Ancora non mi capacito di capire, come Ira avesse potuto fiutare quella roba, a quella distanza, non essendo mai stata addestrata a cercarla. I malviventi furono tutti arrestati per diversi reati:  sfruttamento della prostituzione, schiavizzazione, tratta di esseri umani, spaccio e commercio di sostanze stupefacenti, resistenza,  omicidi e tentati omicidi di forze dell’ordine. Quella sera fu inferto un grande smacco all’organizzazione, che valse la promozione del sottoscritto, con tanto di encomio per disprezzo del pericolo e capacità professionali. Il riconoscimento  più grande fu dato ad Ira con l’ encomio e l’inserimento d’onore nel corpo cinofili antinarcotici. Però, come recita un famoso detto, “non sono tutte rose e fiori”: anche nelle gratificazioni, c’è sempre il rovescio della medaglia; il trasferimento alla Narcotici di Roma avrebbe determinato un cambiamento fondamentale per entrambi. La Capitale, si mostrò subito una piazza meno tranquilla di Milano, essendo la città prediletta per operazioni illegali di ogni genere. Non per nulla il traffico è nelle mani dei “quattro re di Roma”, ovvero i boss più temuti e rispettati, potenti sia economicamente, sia per i loro agganci con le mafie di tutto il mondo.

I miei colleghi, mi fecero davvero un insolito regalo di addio, sensazionale veramente: si erano già messi in contatto con i nuovi del distretto romano, per trovare a me ed Ira, una confortevole sistemazione. Un pensiero rivolto più alla “mia principessa”che a me! Ci  misero a disposizione un bel bivani, comodo, spazioso ed attrezzato, fornito di un giardinetto ampio, con una cuccia a casetta , che Ira fece subito sua, gradendola molto. Al nostro arrivo organizzai una festicciola con i nuovi colleghi per ringraziarli dell’interessamento nel trovarci quel comodo alloggio e conoscerci meglio. Inutile dire chi fu la protagonista assoluta di quella sera. Il lavoro non si fece attendere molto, tant’è che la mattina successiva, di buonora venni svegliato di soprassalto dal mio nuovo capo, il dr. Ciro Donnarumma, originario di Ercolano. Un tipo energico, superattivo, magari pochino ambizioso di fare carriera, ma chi non lo è nel nostro lavoro? Per fortuna si dimostrò sin da subito alla mano, affabile, per nulla  snob e stizzoso, come molti, negli alti ranghi, e soprattutto  amava i cani. Fu lui a volere principalmente Ira, in squadra, dopo aver letto il rapporto dell’ultima operazione, oltre alla notizia, diffusa con clamore dai giornali. Giunti al distretto, ci obbligò ad un breve briefing, per illustrarci il lavoro quotidiano e alla fine, rivolgendosi a lei, le fece dono di un fazzoletto con l’effige del 1֯ distretto, mettendoglielo attorno al collo, così da farla sembrare il moderno corrispettivo al femminile di “Rin Tin Tin”. Lei ovviamente entrò subito nel ruolo, ringraziandolo con una breve abbaiata, porgendogli la zampa, e assumendo altri atteggiamenti che compiacquero tutti i presenti. Ricevuti gli ordini da eseguire lasciammo il distretto a sirene spiegate. Lei ovviamente si  accomodò sul sedile anteriore, suo posto prediletto, per far capire a tutti, il rispetto che meritava.

Il luogo raggiunto per le perquisizioni da eseguire, si trovava alla fine della Nomentana, vicino al quadrato, una zona frequentata solitamente da immigrati ambulanti apparentemente innocui. Molti di essi vendevano cianfrusaglie, cd illegali, strumenti elettronici, ecc. Non si mostrarono minimamente preoccupati o innervositi dal nostro arrivo. Erano certi che non saremmo riusciti a trovare nulla di compromettente, oltre al materiale che vendevano. Sapevano che solitamente è di competenza della Guardia di Finanza o della Polizia Municipale operare dei blitz a sorpresa. Anche se eravamo in borghese, riuscirono ad  identificarci; iniziammo così un primo breve interrogatorio. Notando il loro atteggiamento restio, cominciammo a perquisire anche i loro alloggi. Ira nel frattempo gironzolava libera, senza bisogno del guinzaglio, annusando qua e là. Ad un certo punto mi accorsi che si era messa a ringhiare e abbaiare verso un tizio, che si trovava a passare di lì, fissando tutto il contesto dell’operazione. Nel vedere il cane abbaiargli e ringhiargli contro, il tizio si bloccò, immobilizzandosi per la paura. Pian piano mi avvicinai rassicurandola; a lui  chiesi i documenti per identificarlo. Ira restava nervosa e seguiva ogni suo movimento. Vedendo che era tutto a posto lo invitai ad allontanarsi dal luogo. Ira però non fu dello stesso avviso: non lo fece muovere, anzi si alzò sulle zampe e gliele appoggiò sul petto, bloccandolo contro il muro e abbaiando intensamente verso di me. Notai allora quanto l’individuo fosse impaurito. Intervenni nuovamente, togliendogli il cane di dosso; con la pistola in mano, gli intimai di girarsi, appoggiare le mani al muro alzate e divaricare le gambe per perquisirlo. Ancora una volta Ira aveva indovinato: quel tizio aveva degli involucri di cocaina dentro la fodera del giubbotto, scucita dal basso, e chiusa con una cerniera particolare che sfuggiva a prima vista. Non finì li, perché capimmo che era colui che procurava la roba, su indicazione di quei venditori ambulanti. Era troppo sicuro di sfuggire all’attenzione spacciandosi come un normale passante, e così sarebbe stato se non avesse incontrato la “mia principessa”. Con la perquisizione negli alloggi, grazie all’infallibile fiuto di Ira, non solo vennero scoperte grosse quantità di cocaina, ma furono rinvenuti anche documenti compromettenti per noti esponenti di famiglie mafiose romane oltre ad agendine “bollenti” su cui erano segnati i nomi di politici a cui consegnare dosi di droga preconfezionate, in insospettabili confezioni finte di uova di cioccolato per bambini. Avvisati probabilmente d’alcuni di loro, ecco che spuntarono altri delinquenti armati, con cui iniziò un duro conflitto a fuoco.

Altri individui sbucarono da stradine secondarie di quel ghetto; uno di loro giocò molto pesante: lanciò una bomba a mano verso di noi. Non so dire se Ira la prese per una palla da gioco, io lo escludo e penso seriamente che, essendo abituata ormai alle esplosioni, all’odore di polvere da sparo, o per il suo fortissimo intuito e sprezzo del pericolo, con un guizzo afferrò l’aggeggio con la bocca e scappò, cercando di portarlo il più lontano possibile da noi. Ricordo l’esplosione che me la portò via per sempre, al suo primo giorno di lavoro a Roma. Con le lacrime agli occhi tutti, la conducemmo a spalla dentro una cassa, contenente i suoi brandelli. Ricevette la benedizione dal sacerdote, amico del nostro dirigente, che commosso abbracciandomi, mi disse: “Dovevate venire voi a Roma per farmi piangere per la perdita di un cane appena conosciuto!”. Fu tumulata nel cortile del distretto con una degna sepoltura da eroina e targa ricordo, in presenza pure del Prefetto e di Sua eccellenza il Presidente della Repubblica. Tutti i ragazzi della squadra avevano gli occhi lucidi, consapevoli e soprattutto grati di essere ancora in vita grazie a lei.

Per nessuno, nei giorni a seguire, fu facile approntare le giornate di lavoro. Io ero abituato  a vederla scodinzolare attorno a me, in cerca di qualcosa da segnalare.  La sensazione che il suo spettro fosse lì con me, dopo diversi mesi, svanì per via del lavoro sempre più pressante. Tuttavia io non riuscivo a capacitarmi della sua scomparsa; mi mancava la sua  premurosa dolce compagnia.

Erano trascorsi già sei mesi, non pensavo più minimamente ad avere un nuovo amico a quattro zampe per casa. Ira era insostituibile! Una sera, mentre bevevo una birra in giardino, rilassandomi con il primo tepore di fine aprile, ebbi la sensazione di esser chiamato per nome, e poi sentì suonare il citofono. Era Ciro Donnarumma, il mio capo e con lui, c’era un quadrupede, ancora barcollante, insicuro sulle sue enormi zampone, di poco più di un mese. “-Allora ti sbrighi ad aprire? Ti sei addormentato già alle nove di sera  per via di questa serata primaverile?- urlo’ la voce da fuori, ma non fui sicuro che si trattasse della voce di Ciro. Sapevo comunque che era lui, almeno fisicamente, perché lo intravedevo dalle sbarre del cancelletto del giardino.-“Hey capo, buonasera, gradisci una birra? E lui chi è?”- chiesi mentre gli andavo incontro. Con tono seccato la voce disse:            ” Come chi sono, non vedi che sono un cane? Piuttosto cosa sarebbe questa birra che ci vuoi offrire?”. Confuso sentii nuovamente la voce di prima e lo guardai col capo storto. Allora risposi al mio superiore anche se consapevole che non fosse stato lui a proferire quella frase: “Si ho visto che è un cane, nel senso che non sapevo ne avessi uno e questa è una birra tequila. Mai assaggiata?” gli chiesi stupito. Lui mi rispose duramente guardandomi negli occhi:“ Hey ragazzo, quante te ne sei bevute già? Mi preoccupi! Non ho aperto bocca, hai fatto tutto tu! Vedi che nella mia squadra non accetto gente che beve! Comprendo che non è facile digerire la perdita di Ira, però devi rassegnarti! E’ come perdere una sorella, lo capisco, però non buttarti sull’alcol altrimenti sarà bene che cambi lavoro, siamo intesi!?” così mi disse. Donnarumma è una brava persona, però è un tipo tutto di un pezzo e non ammette divagazioni. Così gli risposi:“Hey Capo rilassati, stavo scherzando, è tutto ok,  non bevevo una birra, da mesi, da quando mi avete accolto qui a Roma! Dimmi di questo coso qui!  Sei bellissimo, sai? Di che razza è, quanti mesi ha? E’ abbastanza cresciuto e impostato, però lo vedo debole sulle gambe, dovresti dargli un po’ di calcio!” gli risposi, non facendogli capire che avevo sentito delle voci, come telepaticamente. —“E’ tuo, l’ho portato per te, ne hai bisogno! Lui ti terrà compagnia a casa, potrai portartelo con te pure al lavoro, se saprai educarlo bene come hai fatto con Ira, però non so se sarà uguale a lei come temperamento e ubbidienza! Dipenderà da te! Vedremo se sei veramente capace di addestrare i cani, oppure era Ira ad essere un cane davvero speciale!” rispose, fissandomi sempre negli occhi. –“ Mio? Stai scherzando? No no, ti ringrazio, ma non me la sento di ricominciare daccapo! Non so, lei è sempre stata veramente speciale, mi ha reso tutto facile dal primo istante che era cucciola; abbiamo avuto subito un’intesa di sguardi. Qualche suo abbaio diretto e chiaro mi faceva capire cosa volesse; era autonoma, sapeva cosa fare, dove andare, senza disturbare nessuno! Ira è riuscita a farsi amare da tutti subito, per la sua bontà ed intelligenza nel capire una situazione che richiedesse  intervento. Era una pastore tedesco, tra le razze più perspicaci, intelligenti e comunicative!” risposi. Nel frattempo mi stavo già innamorando di quel musone di cane che mi stava lì davanti.-“Hey che credi? Pure io so comunicativo e intelligente! A me piaci pure tu, c’intenderemo alla grande! Mi sento portato a fare il poliziotto pure io!”. Udii nuovamente la voce, ma non dissi nulla, perché Ciro non mi diede il tempo di rispondere  proferendo queste parole: “ E’ un mastino napoletano, vedrai che v’intenderete alla grande! Un mio amico ha un allevamento; gli ho parlato di te e Ira! Me l’ha dato gratuitamente come sponsor per promuovere la sua attività  a patto che venisse affidato a persone esperte in grado di educarlo e addestrarlo bene! E’ convinto che pure il mastino napoletano potrebbe essere un buon cane poliziotto!” –“Eh, hai sentito, mho? Pure u to cape te l’ho dice, che posso diventare pure nu bono poliziotte!” intervenne nuovamente la voce. Sinceramente cominciavo a dubitare della mia salute cerebrale. Pensavo veramente che la birra m’avesse fatto male. Credevo anche che si trattasse di pura soggezione, visto che riuscivo a sentirla pure in accento napoletano con qualche flessione dialettale in romanesco. “Naa –pensai-non è possibile!”.“Si invece, stai pensando proprie bene, comunico telepaticamente, e pure col pensiero parlo in napoletane, che c’è vò fa? Siamo messi così, accettiamoci!” mi disse, fissandomi con tutta la sua pelle abbondante e i suoi dolci occhioni semi nascosti lì in mezzo.-“ Non so come ringraziarti, Ciro, ne farò un grande poliziotto, oltretutto avrà pure la mole non indifferente! A proposito, ti ha già detto cosa e quanto mangia, l’amico nostro?”—“Ehh e mo cominciamo proprie bene, ancora non ho messo zampa in questa casa e già pensa di mettermi a dieta! Ohhh uagliòò, se devo rendere devo magnaa, ci siamo capiti, o no? A proposito per cena che se magna?”- intervenne ancora lui.-“Devi comprargli dei croccantini particolari, molto ipercalorici, perché spreca molta energia a causa del suo peso. Devi fargli fare pure molta attività fisica, per tenerlo in forma! Non è certo una rendita, perché mangia abbastanza! Il suo peso può raggiungere i 70kg! Però puoi alternare tra quello che mangi tu ai suoi croccantini! Qui in questo foglietto ho scritto tutto quello che mi ha detto l’allevatore. Questo è il pedigree con il libretto sanitario! Fra quindici giorni o un mese massimo dovrai fargli il primo vaccino! Vedo che avete già fatto amicizia, bene, sono contento, è un buon inizio! Adesso devo salutarti! Ti consiglio d’andare a letto presto! Domani ci aspetta un’altra bella operazione di pulizia, in zona Esquilino!” rispose Ciro. Nel frattempo il cucciolo ronzava tra le mie gambe in cerca di coccole. –“Hey , come si chiama, avrà un nome no?”- “Non ancora, sul pedigree sta scritto “Tequila” un nome provvisorio, tratto dal noto telefilm americano, ma tuoi puoi chiamarlo come desideri. Detto questo se ne andò lasciandomi con quel cucciolo molto speciale fra i piedi.

-“Ok, uhm Tequila non ne male, ma che ne pensi di Tecky? Ti piace? Suona molto bene anche come nome di poliziotto, che ne dici? Andiamo a letto, si è fatto tardi. Anche per te domani inizia la giornata di addestramento!” gli dissi prendendolo in braccio.-“ Uè uagliò, hai proprio intenzione di portarmi a letto, senza mangiare? Ta già scurdate ca ti dissi pocu fa! Ie aie magnàaa, fratelloo!!- mi gridò telepaticamente, quasi “spaccandomi” i neuroni. Allora gli risposi subito:“Ok ok, non fare cosi, mò vediamo se sono rimasti dei croccantini della mia principessa! In caso negativo dovrai accontentarti di quel che è rimasto in frigo! Domani andremo a fare la spesa, vabbò?—“ ehh vabbò, vabbò, d’altronde hai ragiune pure tu! Te siamo piombati a casa di sera, e nun putevi essere certo preparato ad un evento simile!” rispose Tecky.- “ ehh ma dimme na cosa, tu alla tua età cosi cucciolo, come fai ad essere cosi saggio e “filosofico”, per non parlare della consapevolezza di essere telepatico e capire già il linguaggio di noi umani?! Questo che mi sbalordisce più di tutto! Anche con la mia Ira ci capivamo al volo, con lo sguardo, o con suoi gesti precisi e indicativi, per non parlare sul lavoro, lei si mostrava sempre molto chiara e determinata nel far capire dove stava la droga, chi l’avesse, se ci fossero armi e via dicendo. Tu invece mi parli proprio, è pazzesco e fantastico, nello stesso tempo!” gli dissi.-“ Tecky mi rispose:“Devi averla amata molto per ricordarla cosi bene! E’ quella bella uagliona nella foto, con il fazzoletto al collo? Però mica male! La telepatia noi cani l’abbiamo tutti, ma non tutti abbiamo la fortuna di accorgerci d’averla, come voi non sapete comunicare tutti bene allo stesso modo, pur avendo la parola e la bocca! Mia madre appena nato, mi ha subito dato le prime indicazioni sulle mie possibilità comunicative, avvertendomi di stare attento con chi usarle e come! Il vostro linguaggio pian piano l’ho imparato ascoltando chi veniva a vederci, principalmente  il custode che puliva i nostri box e l’allevatore che parlava con mia madre e con gli altri cani, come tu stai parlando con me! Mia madre mi ha insegnato, il significato delle parole, delle lettere e tutto il resto! Io ho un mese, ma è come se fossi un bambino di due o tre anni, quindi, è normale che so dirti bene alcune cose! Poi ci metto del mio, ovviamente, come cucciolo prodigio! Allora uagliò me fa mangiare o no? O devo subire l’interrogatorio peggio du criminali?”-“ Si, si, ecco, spero siano di tuo gradimento e poi a nanna, ok? Devi essere onorato di mangiare nella stessa ciotola della principessa, ok “principino”? Visto che posso parlarti come un umano, domattina se ti scappa, puoi uscire da lì e rientrare dal giardino. Se proprio non riesci fai nell’angolo, poi ci penserò io, siamo intesi? Ah dimenticavo, accanto al letto ci sta il tappeto, dove si accucciava Ira, puoi metterti lì, anche perché non sono previsti altri posti ! Buonanotte Tecky!”—“Uè uagliò, buonnanotte a te, dimme u nome tuo, qual è, se devo chiamarti, come ti hanno registrato all’anagrafe, nu soprannome?”- Hai ragione, il mio nome è Tony, adesso possiamo dormire, sua altezza?”- “E vabbò dormiamo, va, ca già fa!!”

L’indomani mattina, di buonora, andai in direzione del distretto per il briefing col dirigente e poi insieme alla squadra. Successivamente ci avviammo con le camionette blindate, per eseguire la maxi retata all’Esquilino. Anche se sembrava che ci attendessero, nessuno dei malviventi sfuggì alla maxi perlustrazione. Il dr. Donnarumma, la sapeva lunga su come prenderli in castagna. Avuto ottenuto il consenso dal Prefetto, di utilizzare quanti più mezzi e risorse umane. Aveva così circondato completamente l’intero quartiere, supportato da agenti dei Carabinieri e dell’ Esercito, già appostati lì per controllare il territorio. L’operazione interessava immigrati clandestini irregolari, spacciatori e prostitute. Alcune di esse ci ringraziarono per averle liberate dalla schiavitù dei loro sfruttatori. Durante tutto questo subbuglio, tenevo al guinzaglio Tecky, al quale non sfuggiva nessun movimento di ogni singola persona, agente o criminale. Era un bravo osservatore!  Ad un certo punto, si mise a tirare verso la direzione di un caseggiato fatiscente, simile ad una casa popolare. Mi lasciai guidare, d’altronde era lì per essere addestrato. “Hey Tecky, non tirarmi cosi, non ce la faccio a starti dietro se corri così! Mi fai pure inciampare! Attento alla strada! Qui è pieno di cianfrusaglie e rifiuti di ogni genere!” . Mi rispose attento-“ uè uagliò, mi ha portato qui, per imparare, ed io voglio vedere se ci ho capito qualcosa in questa operazione di polizia! Mi pare d’aver inteso, che stiamo cercando gente dedita al malaffare, allo spaccio e dobbiamo liberare delle povere ragazze sfruttate! Bene, mi aiuto con  intuito e olfatto! Ormai ho capito che odore fa tutta sta gente! Dai da sta parte forza, uagliòoo, e che tieni ne ste gambe di ricotta?”. Attento alle tue mosse dissi: “Qui hanno già controllato, mi sa che devi dare una regolata al tuo intuito e fiuto! Non c’è nessuno, hai visto? Tutto vuoto, non ci sono neppure mobili e armadi, solo muri, dove si potrebbero nascondere, nell’intercapedine?”—“ hey professore Tony, se la tua principessa se t’avesse abbaiato e si fosse diretta a scavare su qualcosa, tu cosa avresti capito?”—“Che aveva trovato qualcosa d’interessante da cercare!”—“ Ok ci siamo capiti, io però non scavo e non abbaio, ti dico esplicitamente, che qui non hanno cercato bene! Secondo te in quella cucina, cosa ci fa un tappeto sotto il tavolo? Qui c’è una puzza strana, non solo di quella gente che avete già rastrellato, ma di altro e si trova lì sotto! Sposta il tavolo e il tappeto. Chiama rinforzi con la radio portatile! Forzaaa non perdere tempo, che possono stare pure in pericolo di vita, su!” m’intimo’ Tecky e così fu. Spostai subito il tavolo; il tappeto copriva una botola ben occultata, che portava ad uno scantinato ancora fatiscente, dove erano raggruppate una decina di  ragazze cinesi. Avvisai di portare una scala, e di far venire pure lo staff medico dell’ambulanza di supporto, come da procedura. Una di loro parlava qualche parola d’italiano. Capimmo che alcune erano costrette a lavorare in una fabbrica, distante da lì, che raggiungevano all’imbrunire trasportate da un pulmino; altre invece erano impiegate in un finto centro benessere, che fungeva da casa chiusa. Non so come fece ma Tecky riuscì a percepire i loro dialoghi in cinese, tanto da indicarci la presenza di roba strana che gli sfruttatori facevano assumere alle ragazze prima d’andare a lavorare. –  “ uè uagliò, prof. Tony, che t’avevo detto? C’è stava na strana puzza diversa da quella annusata prima, al passaggio di tutta quella gente! Ti ricordi che mi dicesti, ca nell’intercapedine nun ci putia stare niente! E mò, spacca un muro di qua, proprio, qua in questo punto, si! Vedi cosa troverai! A tenete na picozza, come a chiamate, qualcosa per spaccare sto muro, va?”. Chiamato uno dei militari dell’esercito, con in dotazione una picozza, gli chiesi di abbattere il muro nel punto indicato da Tecky. Appena il militare, diede il colpo di grazia al debole muro, trovammo una cascata di mazzette di soldi di tutti i tagli, oltre a quella sorta di droga indicata da una delle ragazze cinesi, tenute segregate, lì sotto.  Orgoglioso Tecky mi disse:“ Hai visto uagliò, so stat brave, eh? Adesso ma merito na ricompensa, no?”. Proprio in quel momento arrivò Donnarumma che rispose: “Certo che te la meriti bel cagnone, e pure il tuo padrone! E’ stato bravo ad inserirti subito, seppur cuccioletto e farti partecipare attivamente all’operazione! Quanto a te Tony, sapevo già che eri un bravissimo addestratore cinofilo, ma non fino a questo punto!”—“ Hey capo, non sapevo fosse qui, nei paraggi! Si è stato lui a guidarmi fin qui dentro e a farmi fare tutto il resto! Io la ringrazio, ma non c’entro niente con le capacità di Tecky! Così ho deciso di chiamarlo, col diminutivo di tequila, e suona pure bene, anche come nome di cane poliziotto, vero? Adesso andiamo! Dobbiamo fare la spesa! Ti avevo promesso che saremmo andati a comprare il tuo cibo preferito, dopo il lavoro! “.

Giunti al supermercato Tecky, dopo la sua prima azione, era entusiasta e sempre più adrenalinico, tanto che gli dissi:

-“Hey Tecky, stai buono dentro il carrello, come i bravi bambini piccoli, stiamo facendo la spesa! Ecco siamo nel reparto dedicato a te, dimmi quali croccantini t’ispirano! In più ti regalo questo bell’osso di pelle di bufalo per i tuoi dentini, così non mi mastichi tutto l’arredamento in affitto, per’altro!”—“Uèee,  u sapevo ca tu si nu bravo uaglione! Me ne compri due, di ossi e la chiudiamo qui, vabbò? Ovviamente aggiungiamo oltre agli alimenti, i profumi, le spazzole e tutto il necessario! A proposito, ieri sera sono stato onorato di mangiare nella ciotola della tua principessa, però era nu pocu piccola, io mangio nu pocu chiu assaie, mi dovresti comprare quella lì, si esatto, hai preso quella giusta, e mentre ci sei, prendi pure quella dell’acqua, che anche di quella, ne bevo assaie veramente!” Lui parlava e io eseguivo quando ad un certo punto dissi:“Hey sua altezza ha finito con le richieste? Possiamo passare ai reparti adatti a me? Devo prendere carne, pesce, formaggi, salumi, pasta ecc…Accucciati e sbrighiamoci!  Poi devo fare al più presto il rapporto sull’operazione di stamattina!”—“E vabbò, andiamo va, me sta bene cosi, se mi viene in mente dell’altro, t’avviso!”

Completato il giro e riempito il carrello, ci avviammo alla cassa.  In coda, in attesa che arrivasse il nostro turno, notai Tecky alzarsi di colpo e puntare verso l’uscita.-“ Hey prof, statte accort ca stanne pi fare na rapina qua dentro! Prendi la pistola, mettile il colpo in canne e statte fermo, tienila in mano dietro la schiena! Te diche io quanne agire!”-“Adesso si sono invertite pure le parti, sei tu a dirmi cosa devo o non devo fare?”—“Ohh uagliò , statte zitte, che stanno per entrare!” Ed ecco che si sentì gridare:“Fermi tutti, questa è una rapina! Prendete i sacchi e riempiteli, veloci, forza, e nessuno tocchi l’allarme o sparo! Siamo intesi?” disse il rapinatore ai cassieri del supermercato. Mentre li osservavo non mi accorsi che Tecky, era appena saltato giù dal carrello,  in direzione dei clienti impauriti alle casse. Ad un certo punto, il rapinatore  emise un grido di dolore più che di intimidazione a fare in fretta. –“ heyy uagliooo venne ca, che l’ho pure disarmato! Dove guardii? Qua da sta partee, andò sta u rapinatoree, svegliaaa Tonyyy!!” In effetti, in quel momento, come incantato, pensavo a  come intervenire. Tecky, però mi aveva già anticipato, senza che me ne accorgessi. Ritornato in me, con un guizzo, pistola in mano, scavalcai le casse e mi buttai a tuffo sul rapinatore, bloccandolo e  impedendogli ogni reazione. L’enorme mandibola di Tecky, minacciava i genitali del malvivente, ad un minimo movimento gli avrebbe conficcato i suoi canini. In queste condizioni potei ammanettarlo e condurlo via, tra gli applausi dei presenti. Mentre la volante lo portava via, il direttore del supermercato, contento del pericolo scampato, omaggiò Tecky di un maxi buono da spendere in croccantini e altro e ringraziò me segnalando l’eroico pronto intervento al mio capo.

Ritornati a casa, dopo aver sistemato la spesa, mi misi subito al lavoro: dovevo stilare due rapporti , non avevo tempo da perdere, né per preparare da mangiare. Tecky, si accucciò sotto le mie gambe, intento a sgranocchiare l’osso di bufalo, ben meritato.-“Hey Tony, non dimenticarti di fare pure u me nome no rapport, eh, statte accort, che poi o vengo a sapere o stess!” non mancò di avvisarmi. Sempre vigile, Tecky infatti, non solo comunicava telepaticamente, ma captava al volo tante situazioni. La sua capacità lo portava a conoscere anche le parole che avrei usato nel redigere il rapporto. “Tutte a me devono capitare!”, pensavo. Ad un certo punto mi drizzai in piedi e corsi ad aprire il balcone; una nauseabonda puzza da “camera a gas”, aveva invaso improvvisamente la stanza. –“Eh uagliò mi devi scusare, la puzza che senti lo provocata ie, eh me scappano le puzzette, sarà il materiale di quest’osso, non posso farci, nulla!”—“Accidenti e di cosa è fatto st’osso? Ti senti bene, vuoi che ti porti dal veterinario? Famme sentire il pancino, vediamo se è duro o morbido!”—“ Ehh piano Tony, ca me preso, po nu pallune, poi non lamentarte se me esce aria puzzolente, vabbò?” e non fece in tempo a dirmelo che un’altra bomba ancora più puzzolente, mi investì così intensamente da costringermi a fare una doccia.-“ Ehh come siamo esagerati! E che sarà mai nu poco e puzza! C’è stanno pure tutte cose aperte! Piuttosto se hai finito di scrivere il rapporto, s’è fatta pure ora de magnà, e buttando fuori tutta st’aria, me venuta a famee!” Oh fatt a doccia, mho ca poi me devi mettere la cena na ciotola e te devi preparare la cena pure tu! Giornata pesante anche per te”. Finita la cena, io e Tecky andammo a prendere un po’ d’aria fuori. Dopo aver fatto i suoi bisogni in giardino, mi si accucciò accanto, finendo di sgranocchiare quel poco che restava dell’osso che si era degnamente meritato.

Il tempo passa veloce e così mese dopo mese, Tecky  era già divenuto un bel cagnone, di un anno  e mezzo. Inutile dire che i suoi successi e i miei crescevano di pari passo. Come con Ira, la mia carriera di poliziotto andava a gonfie vele.  Ed eccomi capo ispettore e responsabile della mia squadra. Praticamente il braccio destro del mio capo!

Il calore del sole, l’aria tiepida, la luce diffusa preannunciano già l’arrivo della bella stagione.  Io e Tecky approfittammo delle belle giornate per trascorrere qualche ora di libertà a mare, stare in spiaggia, a giocare con l’acqua. Proprio in uno di questi giorni decidemmo di scendere al litorale; purtroppo il mare, a causa del vento era animato dai cavalloni, motivo per cui, solo poche persone prendevano il sole. Mentre stavamo giocando a rincorrerci, vidi che ad un certo punto Tecky si bloccò e successivamente si diresse verso il mare aperto. A nulla valse il mio chiamarlo a squarciagola, comandandogli di tornare subito a riva. In quegli istanti così concitati, mi assalirono il terrore e l’angoscia di perdere anche lui. I cavalloni alti e bianchi mi impedivano di localizzarlo. Finalmente lo vidi riemergere e venire verso la riva, trascinandosi dietro qualcosa. Giunto in prossimità della battigia, mi resi conto che era una donna. Mi buttai subito in acqua! Presala in braccio, mi adoperai subito per distenderla sulla mia asciugamano. Tentai di rianimarla con la respirazione bocca a bocca e i dovuti massaggi cardiorespiratori. Per fortuna Tecky, era riuscito ad evitare il peggio. Dopo esser rinvenuta, la donna aprì gli occhi ed ebbe un sussulto nel vedermi. Compresa la situazione cercò di rasserenarsi, prese coraggio e mi ringraziò. Il grazie, ovviamente ancora una volta era rivolto più a Tecky che a me.-“Grazie ad entrambi, se non fosse stato per il suo cane, sarei morta annegata! Stavo facendo una nuotata, come d’abitudine, però non mi sono accorta in tempo del peggioramento delle condizioni del mare; precipitosamente la corrente mi ha impedito di tornare a riva. Ormai esausta, non mi sono resa conto che stavo annegando, quando il suo cane, avvertendo il pericolo, è corso a  salvarmi! Ero talmente stanca, che ho avuto l’impressione che possa avermi parlato, dicendomi di abbracciarlo per portarmi a riva! Incredula per la stanchezza sono svenuta. Mi ha trascinato lui, non so come!” Le chiesi allora: “Come si sente adesso? Riesce a dirmi il suo nome? Lui si chiama Tecky ed io Tony! In verità le ha parlato, però telepaticamente, ma è un discorso che le spiegherò dopo con calma, adesso è importante che si riprenda! Mi scusi, ho dovuto farle la respirazione bocca a bocca per farla rinvenire. Sono un poliziotto addestrato anche al primo soccorso!”—“ Beh, che dirti, grazie! Sono stata fortunata! Sei anche un bel ragazzo!Il mio nome è Jole, diminutivo di Jolanda! Anch’io ho una cucciola della stessa razza del tuo cane, non l’ho portata con me, perché non saprei a chi lasciarla in spiaggia incustodita, mentre vado a farmi la nuotata! Lui quanti anni ha?.-“Eh, la prossima volta, portala, che le farò compagnia io!” si lasciò andare Tecky.-“Ma sei ventriloquo? Ho risentito la stessa voce di prima, allora non era impressione mia! Complimenti riesci a far sentire a distanza quel che dici, senza parlare!”—“No, no, non è come pensi, è lui a parlarti telepaticamente e tu la percepisci come se ti stesse parlando una persona! E’ da quando era cucciolo che comunico con lui! Inizialmente anch’io credevo di essere pazzo, poi fu lui stesso a spiegarmi tutto! Adesso ha un anno e mezzo e collabora con me nelle operazioni di polizia, come agente scelto! E’ già pluridecorato, pur essendo ancora un cucciolone!”—“Fatemi conoscere sta cucciolona e mho te faccio vedè io sò ancora nu cucciolone!!”—“ Shh, che può sentirti, non fare il cafone, sii galante!  Non te le ha insegnate tua madre le buone maniere, oltre a comunicare telepaticamente?” lo richiamai a bassa voce.-“Complimenti! Magari anche la mia riesce a comunicare allo stesso modo del  tuo, forse non so brava come addestratrice cinofila! Stasera siete impegnati voi due? Che ne dite di andarci a prendere una pizza? Porto anche la mia, così faranno amicizia!”. Tony rispose: “Siamo liberi! Accetto con piacere l’invito ma non so se sia il caso! Sarà difficile gestire due cani come loro, oltretutto se la tua è femmina e il mio maschio, insomma, comprendi, non vorrei che…!” La frase non fu completata per l’intervento di Tecky che proruppe:“Aooo, Tony, nun fare u strunz! Tu puoi uscire cu sta bella uagliona, ed io no? L’ha detto pure lei, di uscire in quattro! Sta sereno, ca nun te faz fare na brut figura! Forza, dai ca staser s’empiatt!!”– !  Piuttosto imbarazzato Tony disse: “Ahhh già cominciamo bene e mi dici, che non mi farai fare brutta figura! Statte calmo tu, che se fai così, non ti ci porto davvero!” rivolgendosi poi a Jole rispose: “Ok, ci saremo! Però scegliamo un posto dove tenerli d’occhio e ben legati al guinzaglio, affinché non possano fare danno!”Jole rispose: “Ok ora devo andare, altrimenti i miei staranno in pensiero e devo far fare i bisogni a Ira!”..-Stupito all’udire quel nome Tony disse: “Ira? Anche la mia precedente cagnolina si chiamava cosi! E’ una storia dolorosa, che ti racconterò stasera! Ok, a dopo, è stato un piacere conoscerti, anche se in modo cosi burrascoso!”. Jole già ripresasi dall’incidente, alzandosi per incamminarsi verso casa rispose:“Anche per me! Ci vediamo dopo, ciao!”. Tecky  da gran ruffiano le rispose: “ Cia bella uagliona, grazie per i complimenti, a stasera!” —Ciao! Grazie a te per avermi salvato, stasera ti presenterò la mia Ira, a dopo!” le rispose Jole, ironicamente.—“ Hai visto Tony, come si fa chi bel uaglione! Chilla è già bell e cotta di te! Stasera dai l’affondo, ca ci sta, sent a me!!”-“ ti ho detto di non fare il cafone e stare al tuo posto, sereno e tranquillo, intesi? E poi so io come fare con le donne, tu pensa alle tue simili!” Lo richiamai scherzosamente, dandogli una pacca sul dorso, mentre saltava in macchina, per tornare a casa.

Giunta la sera, mentre mi preparavo, lo vedevo super eccitato ed impaziente. “ Hey Tony, sbrigati, finiremo col fare tardi! Ancora la barba ti devi fare! O maronna do carmine, datte na mossa, ohhh!!” mi diceva mettendomi fretta.“ Oh, fai presto a lamentarti tu, ti è bastata una spazzolata al tuo pelo corto, già bello lucido, un po’ del tuo profumo per cani e sei bello e pronto per il tuo incontro! Tranquillo ci arriviamo, ho quasi finito!” gli risposi. Lui riprese animatamente a dirmi: “Hey ma come te sei conciato? Sembri un damerino dell’800, ma famme il favore, va!” Tu così con me non ci esci al primo appuntamento galante! Che te devo dir pure come vestirti, con una donna come quella? Ma l’hai vista bene? Mi sa che tu de femmene nun ne capisci n’emerita mazz!! Camicia, jeans e un giubbino leggero, oppure nu maglioncino de cotone, na giacca sportiva, daii, e poi so io a farte fa brutta figura!” Mi resi conto che aveva ragione. Ma non volevo dargli sazio, così gli risposi:“ Anvedi questo ohh, pure come me devo comportare e vestire me deve dì! Ok, in effetti hai ragione, troppo classico non va, mi sento più a mio agio senza cravatta e giacca! Mi cambio subito, dai!” Approvato il mio look mi disse:-“ Okkkeyy uagliò, cosi può andare, dai montiamo in macchina! A quest’ora sulla Tuscolana ci sarà un casino bestiale, dobbiamo attraversare tutta la città ed entrare in centro! Te rendi conto a che ora ci arriviamo?” Gli risposi sorridendo dicendo:“Tranquillo, tu non lo sai questo però sulle donne! Non esiste donna che sia puntuale, quindi saremo puntuali!”—“Mah se lo dici tu! Ti ricordo che porta Ira con sé e noi cani siamo molto più precisi e meticolosi di voi umani, uomini o donne che siate! Sicuramente anche lei le starà mettendo la stessa fretta che ti sto facendo io per uscire puntuali, e quando ci mettiamo noi, la spuntiamo sempre! Menomale che sono intervenuto io nel farti vestire adeguatamente ed uscire da casa! Eccole là, che ti dicevo? La prima brutta figura da cafone l’hai fatta tu arrivando dopo di lei, e hai coinvolto indirettamente me, bell’amico!”. Giungemmo puntuali al luogo dell’appuntamento. “Dai scendiamo e andiamogli incontro, mi raccomando sereno e tranquillo Tecky! Il guinzaglio te lo devo mettere, altrimenti non ci fanno entrare nel locale! E’ già tanto che accettano i cani!”. Gli andammo incontro. Garbatamente ci salutammo. Jole fece le presentazioni ufficiali: “Ciao, lei è Ira. Lui è Tecky, sai mi ha salvato oggi al mare, si è buttato tra le onde e mi ha riportato a riva! Ciao Tony, che eleganza, hai proprio buon gusto!”. Sentendo pronunciare questa frase, Tecky ebbe un improvviso colpo di tosse..-“Ciao Jole, siete meravigliose entrambe, bellissime davvero! Tecky ha fatto capire d’essere d’accordo e pure la tua Ira sembra essere attratta dal mio cucciolone!”—“Bene ci accomodiamo dentro? Seduti si dialoga meglio, soprattutto davanti anche a un buon boccale di birra e con le pizze. I nostri cani se ne staranno acquattati tranquilli accanto a noi! Dopo li porteremo a fare una passeggiata nel parco qui vicino!”. Jole rispose di si e ci sedemmo al tavolo, pronti a condividere quella serata.  Cominciammo a parlare. Jole mi chiese:“Mi dicevi oggi che il tuo cane ti parla telepaticamente? Fantastico! Come te ne sei accorto? Mi hai accennato pure che avevi un altro cane, che hai perduto tragicamente!” –“Si è successo durante una operazione di polizia; ha evitato che lo scoppio di una bomba uccidesse me e la mia squadra! Ecco questa è lei, in questa foto, ha il fazzoletto del 1֯ distretto a cui appartengo! Fu il nostro dirigente a regalarglielo, non ebbe la possibilità di usarlo! La tragedia si consumò l’indomani. Non poté neppure godersi l’appartamento che i colleghi di Roma ci avevano gentilmente procurato.Sei mesi dopo arrivò lui. Lo condusse da me il mio capo, con l’obiettivo di addestrarlo bene come avevo fatto con la mia principessa! Inizialmente ero titubante, per la razza, temevo che non fosse adatta al nostro lavoro. Lui fu convincente sin dal primo istante. Mi accorsi,con meraviglia, che poteva parlarmi. Mi spiegò che fu sua madre ad istruirlo sulla comunicazione telepatica dei cani con gli esseri umani!” .

Ad un certo punto si sentì una voce che disse:-“ Jole, tesoro, pure io, sono capace di parlarti. Temevo che ti spaventassi! Adesso che sai di questa mia capacità potremo anche noi comunicare più velocemente e chiaramente! E’ stato Tecky a darmi coraggio convincendomi di parlarti! E’ un tesoro, un vero gentledog!”. Con grande meraviglia la ragazza rispose: “Ira, anche tu? Fantastico! Che meraviglia, dovevo incontrare voi due, oggi, perché mi si aprisse un nuovo mondo!”—“Dicono che nulla avviene per caso! Tony ed io avevamo bisogno d’incontrare due meraviglie come voi! “. Intervenne allora Tecky: “Avete finito di mangiare la pizza? Vorremmo sgranchirci le zampe! Sono due ore che stiamo fermi qui, ci siamo rotti il…beepp!”-Si si, ok, hai ragione, fa pure caldo- disse Tony- vado a pagare il conto e andiamo”.

All’uscita dal locale il gruppo incontrò il questore con la consorte. –“Buonasera signor questore!” salutò cordialmente Tony. “Buonasera, ispettore, buonasera Dottoressa Donnarumma! Non sapevo che vi conosceste, anche se la fama di questo bel poliziotto comincia a crescere a dismisura, insieme a quella del suo nuovo collega a quattro zampe!”—Si dottore! Ci siamo conosciuti stamattina proprio grazie a Tecky! Ero andata a fare una nuotata non rendendomi conto delle immediate cattive condizioni del mare, la corrente mi ha impedito di tornare a riva, stavo per annegare! Per fortuna è arrivato lui prestandomi prontamente soccorso, così stasera per premio, gli ho presentato la mia Ira! Chissà se stando insieme a lui, anche lei non riesca a diventare un’ eroina!” . Rallegrato il questore disse: “Beh auguri  a tutti quanti! Noi adesso dobbiamo andare!” Salutammo il questore e la moglie e ci dirigemmo verso il parco. Non ebbi neppure il tempo di formulare la domanda che Jole mi disse: ” Ho capito dal tuo sguardo, cosa vuoi dirmi! Sono la nipote del dirigente del 1֯ distretto Ciro Donnarumma! Lui è mio zio! E’ tutto per me, mi ha cresciuta e ha provveduto alla mia istruzione, fino a farmi diventare PM come mio padre! Lui morì d’infarto quando avevo ancora 12 anni. Sono l’unica figlia e nipote, cosi mi prese con sé!”. Le chiesi: “E tua madre, non ne hai parlato? E’ morta pure lei?”—“No no è viva! Abita con me e con mio zio! Non è una storia di cui mi piace parlare, però ormai provo a dirtela per sommi capi! Mio padre morì d’infarto, perché scoprì che mio zio era l’amante di mia madre! L’aveva sempre sospettato, però scoprirlo a quel modo gli fu fatale!”- Allora io dissi: “Caspita! Nonostante  tuo zio, sia stato la causa della morte di tuo padre gli sei così affezionata?  Mi rispose:“Lui non c’entra, non ha colpa! E’ accaduto tutto per caso! Quando successe, mio zio non conosceva mia madre, né sapeva che fosse la promessa sposa di suo fratello. Solo pochi giorni prima delle nozze seppe che si trattava del fratello del suo futuro marito. Mia madre è di Roma, ma viveva a Milano. spesso veniva a trovare i suoi. Lei e mio zio si conobbero sul treno per caso! E quando interviene il Caso non si può far nulla per evitarlo! S’innamorarono! Mia madre tornò diverse volte a trovarlo. Poi interruppe il rapporto perché scoprì di essere incinta di me e sposò a Milano mio padre!”. Confuso dissi: “Un momento! Al matrimonio, doveva esserci pure tuo zio. Si accorse lì che la donna che amava era la moglie di suo fratello!” Con calma Jole, capendo la mia reazione, mi rispose:  “ Si certo, infatti lui, non volle più vederla. Per non cadere in tentazione, si face trasferire in diverse sedi! Fu una fuga continua da mia madre, la quale sapeva che la bambina in grembo era il frutto del loro amore! Questo non lo sa nessuno, è un segreto! Tienilo per te, mi raccomando!”. Io le risposi: “ Certo, sto restando basito a sentire la tua storia!”. Jole continuava a raccontare la vicenda: “Mio zio si è sempre comportato da gentiluomo, onesto e leale, sia verso suo fratello sia verso mia madre! Non posso dire che mia madre non abbia avuto colpa. Anche mio padre ha sbagliato, è stato un marito poco presente anche per via del suo lavoro di magistrato dell’antimafia.  Per tutelare la sua famiglia, stava lontano. Purtroppo questa condizione ha portato alla fine del rapporto con mamma che era sempre più presa dall’altro fratello. Si sono rincontrati dopo anni, nuovamente per caso. Nonostante l’impegno non sono riusciti a resistere alla tentazione! L’amore passionale nato precedentemente si era riacceso in modo imprevedibile! Mia madre, seppe in quale città mio zio prestava servizio e gli fece una sorpresa per dirgli che stava lasciando suo fratello e per essere liberi di vivere il loro amore! Invitò allora a sua volta mio zio a casa. Mio padre quella sera non doveva rientrare a casa, essendo impegnato col lavoro. Sta di fatto che ad un certo punto tornò senza preavviso a casa, probabilmente per prendere dei documenti che aveva dimenticato. Io dormivo dalle mie amiche. Al suo rientro mio padre trovò i due a letto! Seppur consapevole d’averla persa da tempo, nel vederla insieme a mio zio in quella situazione, ebbe un’emozione così letale da procurargli un infarto fulminante! “ Per uscire da quella situazione imbarazzante mi disse: “E tu? Parlami di te adesso!”. La assecondai rispondendo: “Io, provengo da una famiglia tradizionale: mia madre è casalinga, mio padre è poliziotto, ormai in pensione! Ho una sorella che come me ha intrapreso questa stessa carriera. I miei non volevano che diventasse poliziotta ma era nel corredo genetico! Quando lei si è arruolata dopo di me, io avevo già deciso di frequentare l’accademia di polizia con l’obiettivo di diventare agente scelto, con diverse specializzazioni. In tutto questo ebbi un grande aiuto dalla mia prima fidata amica pelosa! Un cane eccezionale! Mi capiva al volo e sapeva farsi capire! Uno splendido esemplare di pastore tedesco che vidi, in un allevamento specifico, dove preselezionano i cani da destinare alla scuola cinofila di polizia! Volevo averla a tutti i costi, destinando a lei il mio primo stipendio, ma i miei genitori, vedendo in me quel desiderio, vollero regalarmela. Da lì poi è stata sempre con me! Da Milano, per merito suo, ci siamo trasferiti qui a Roma. L’ultima sua missione è stata reperire, in un quartiere popolato da immigrati dediti al commercio di droga, un grosso quantitativo di cocaina. I malviventi non aspettandosi la retata, si misero a sparare all’impazzata verso di noi, cercando di disperderci e recuperare la droga sequestrata! Uno di loro ci lanciò contro una bomba a mano, di quelle classiche, usate dall’esercito. Ira, si chiamava come la tua! Con coraggio si lanciò  sulla bomba, la prese in bocca e scappò via lontano da noi, cosciente di sacrificarsi, per salvare tutti noi! Recuperammo pochi brandelli di lei, riuscendo a trovare qualche pezzo del fazzoletto che aveva nella foto! Ebbe funerali solenni come un agente che si rispetti, perché morì da eroina, adempiendo al suo ruolo di poliziotta! Sei mesi dopo, tuo zio mi regalò Tecky! Sul pedigree è registrato Tequila, ma ho preferito abbreviarlo cosi. Suona meglio e gli sta a pennello!”. Con uno splendido sorriso mi disse: “Io veramente, volevo conoscere qualcosa di più della alla tua vita privata! E’di te che m’interessa sapere! Son voluta uscire con te per conoscerti meglio”. Spaesato risposi: —“Sono single, non ho avuto tempo per pensare a qualcosa di serio! Ho pensato alla carriera! Non tutte quelle che ho conosciuto, amavano i cani! Sono state per lo più  avventure di qualche settimana! Ira la gelosona, ce la metteva tutta per farle scappare prima che potessi capire se andavano bene o no! A modo suo voleva sgomberare il campo da persone inadatte a me! Adesso è diverso! Mi sento pronto per un legame più stabile e duraturo. Non ti nascondo che bella, intelligente, single, impegnata , amante dei cani e con un cane della stessa razza di Tecky, potresti essere la compagna perfetta per me” e d’istinto, prendendole il viso tra le mie mani, la baciai. Lei non si ritrasse e ricambiò passionalmente il mio esuberante bacio. Di sott’occhio, notai strani movimenti di Tecky con Ira, che mi facevano capire, che anche lui  stava dandosi da fare con la cagnolina già, molto prima di me. Tornammo a casa mia e passammo la notte insieme. L’indomani trovammo i due cagnoni anch’essi avvinghiati amorevolmente nella cuccia. Preparai la colazione per Jole e gliela portai a letto, svegliandola con un bacio e una carezza. Ero felicissimo! Tecky, col suo salvataggio, mi fece conoscere quella splendida sirena, l’altra metà della mela che da tempo desideravo trovare per completare la mia vita. Con questo splendido pensiero le dissi: -“Buongiorno, amore, ti ho preparato la colazione! Come stai? Ci credi ai colpi di fulmine?”Vedendosi svegliata così Jole disse:“ Buon giornooo! Ohh che bello, grazie, amore sei un tesoro! Neppure mia madre mi ha mai portato la colazione a letto, dandomi un cosi dolce risveglio, come mi hai dato tu! Si, è successo che lo stesso fulmine ha colpito me quando ho aperto gli occhi e mi sono accorta che mi stavi baciando, svegliandomi dal mio torpore! Voglio che entri a far parte della mia vita, voglio presentarti a mio zio che già lo conosci. A mia madre sono sicura che piacerai…e tutto questo se non hai nulla in contrario!” Mi chiese titubante fissandomi con i suoi bei occhioni di cerbiatto.

Ad un certo punto intervenne la voce dispettosa di Tecky che disse: –“Uèè Tony, adess stai proprio inguaiato! Non per la sua richiesta  ma perché si proprio innamorate! Ahahahah, mentre ci sei, fai mangiare pure  a noi? La mia uagliona qua tiene fame, e pure io, che ho avuto una notte frenetica!!”. Togliendomi dall’imbarazzo dal dare una risposta così importante risposi a Tecky: “—Ohh Buon giorno ecco l’altra felice coppia che si è svegliata e reclama già di mangiare! Ok, ok, ve la porto subito!” Preparai la colazione per i due prendendomi tempo per pensare a cosa avrei dovuto rispondere a Jole. Così dissi: “Amore arrivo, sto facendo altro caffè e vengo a letto a parlarne.—“Sei certa che non sia troppo presto? Ci siamo conosciuti ieri e subito abbiamo deciso di fare progetti. Come pensi la prenderà tuo zio, nonché il mio capo? Io sono felicissimo  di questa cosa! Se questo può farti felice, farà felice pure me! Occorre prudenza ma sono pronto ad affrontare il mio capo, come futuro suocero, perché pure io sono certo dell’amore che provo nei tuoi confronti,  scoppiato in me come un tuono, dopo il fulmine che mi ha folgorato!”—“ Ohh amore, che dolce che sei, io seguo sempre il mio istinto! Ho colto subito nei tuoi occhi la dolcezza dell’uomo che cercavo, oltre alla serietà e lealtà! Non temere, andrà tutto bene, tu che affronti rischi e criminali, di ogni genere, non penso non saprai come affrontare mio zio, da una prospettiva diversa, da quello del lavoro!”. Con un ghigno scherzoso Tecky disse:“ Tony, vai tranquille  che ormai sii inguaiate forte.. e pure ie, me sa che ho trovato già moglie al primo incontro! T’aiuterò io cosa dire, ma tu basta che ascolti u core tue, che le parole ti verranno facili facili, sent  a me!! Ahaha!”

Dopo questa decisione concorde andammo da Jole . Ella, aprì il portone ed entrammo a casa. Il dr.Donnarumma, stava seduto nel salotto a leggere il giornale; la mamma di Jole, era intenta a  preparare un dolce in cucina.—“Mamma, zio, devo presentarvi una persona, e non solo, dobbiamo parlarvi, anzi lui vi deve parlare!”—“Buongiorno, piacere Rosalba! E’ la prima volta che Jole ci porta un ragazzo a casa, sono contenta per lei, la vedo sempre sola!”—“Mamma ti prego!”. Le disse sottovoce. Allora intervenni io presentandomi: “Piacere mio signora, Tony Ranieri, e lui è Tecky, il mio collega a quattro zampe! Pur essendo un cucciolone è già pluridecorato! ”Meravigliata Rosalba disse:“Complimenti, ma il merito dev’essere pure suo se ha ottenuti questi successi, l’avrà addestrato a dovere!”. Risposi: “Grazie, signora, io ho fatto ben poco, pare che abbia un suo talento innato, nel fare il poliziotto!”. Rosalba mi prese subito a benvolere. Ci disse: “Jole, accomodatevi nel salotto, c’è Ciro che sta leggendo il suo giornale! Io vi raggiungo subito!”. Jole si rivolse a lei in cerca di supporto con queste parole: “Ehm, si mamma, ma vorrei che ci raggiungessi al più presto, Tony, vorrebbe dire una cosa ad entrambi!” La signora ci guardò, capendo già di cosa si trattasse e non rispose neppure, fece solo segno che ci avrebbe raggiunti a breve.

Sapendo che non sarebbe stato facile comunicare l’inizio della relazione allo zio/padre, Jole timidamente gli si avvicinò dicendo: –“Zio Ciro, buongiorno, c’è una persona che vorrebbe salutarti e parlarti di una cosa seria!”-“Buongiorno, dr. Donnarumma, mi scusi il disturbo! Non sono qui per motivi di lavoro, bensì per un altro motivo altrettanto importante!”.—“ Oh, buongiorno a te Tony, quale disturbo, è un piacere la tua visita, dimmi tutto, di cosa si tratta? Non sapevo che conoscessi la mia adorata Jole, è come una figlia per me!”. Approfittando di queste parole,  presi coraggio stringendomi vicina Jole e dissi: “ Vi sembrerà assurdo, quel che sto per dirvi, ma quando accade, nessuno può spiegarlo, anche se il tutto avviene in modo repentino e in poco tempo, come un fulmine a ciel sereno!”. Preoccupato, ascoltando quella premessa Ciro Dommarumma disse: “Che vuoi, dire? E’ accaduto qualcosa a Tecky? Non ti saresti precipitato qui altrimenti, se non per qualcuno a cui tieni in particolar modo, come la tua Ira, e ormai siete come padre e figlio!”-“No dr. Donnarumma, Tecky, sta benissimo, anzi più che bene. In questo momento è  in compagnia di Ira, nel giardino! Si Tratta di noi, di me e Jole, ci siamo conosciuti ieri mattina al mare, è stato Tecky, l’artefice del nostro incontro fortuito! Jole era in difficoltà tra le onde e lui l’ha salvata! E’ stato un colpo di fulmine tra noi, come le dicevo, e ieri sera siamo stati a cena. Abbiamo notato un’intesa immediata! Abbiamo un sacco di cose in comune dal  lavoro all’amore per i cani, e ci siamo accorti di esserci innamorati. E’ cosi! Si sembra una cosa azzardata, chiederle la sua mano, e il permesso di sposarla, in così breve tempo, ma non sempre l’amore spiega ciò che a noi può sembrare impossibile” gli dissi tutto d’un fiato, osservando il sorriso soddisfatto e felice di Jole, e quello tra lo esterrefatto, ma non tanto imbrunito di Ciro e la madre di Jole. In imbarazzo Ciro Donnarumma disse: –“Sinceramente non so che dirvi, sono nello stesso tempo felice ed incredulo! Di te mi fido, hai già dato prova di essere un uomo, leale, onesto e disponibile e sveglio sul lavoro! Non saresti mai venuto ad esporti così, se non ne fossi sicuro di quel che provi, ed hai ragione, l’amore si deve accettare così, come viene! Sono contentissimo d’averti anche nella mia famiglia! Anche noi, abbiamo vissuto e tutt’ora viviamo la stessa passione, nata così, senza che lo volessimo, come non capire e approvare ciò che si è vissuto in prima persona! Basta la frazione di un fulmine per capire che quella è la persona giusta! Possono passare anche decenni, senza che l’uno sappia mai veramente mai chi fosse l’altro, seppur vivendo insieme! Possono frapporsi altre persone, ma alla fine l’altra metà della mela è destinata a ricongiungersi! E poi vedo che anche mia nipote, per come tiene stretta la sua mano alla tua, è ben sicura e determinata, in ciò che vuole!” rispose, sorridente. La madre di Jole, annuendo alle parole del compagno aggiunse: —“Avete già deciso quando sposarvi? Jole le rispose:“ No, mamma, volevamo solo rendervi subito partecipi, del nostro amore, scoppiato cosi, come l’avete vissuto voi. Voglio iniziare la mia vita con lui! Ho ritenuto giusto raccontare a Tony della vostra storia, per evitare dei malintesi e incomprensioni su di voi, certa che avreste compreso la nostra decisione! E anche per metterlo alla prova, tastando come avrebbe reagito!”—“Certamente, tesoro, tranquilli, se hai ritenuto ciò, siamo d’accordo con te! L’amore, quello vero, come il nostro e il vostro, merita di essere vissuto! E’ giusto condividerlo con chi è felice per voi e noi lo siamo!” disse sua madre con la felicità stampata in viso.—“Restate a pranzo ovviamente, dobbiamo festeggiare!” replicò subito anche Ciro. Quest’ultimo prese da parte Ciro dicendogli: “ Ho anch’io da farti una confessione! Ho amato sin da subito il tuo cane Ira, a cui mi ero così tanto affezionato. La sua morte mi ha fatto soffrire. Non appena ho avuto la possibilità di avere tra le mani un cucciolo speciale come Tecky, ho pensato a te, ho voluto donartelo per riempire il vuoto che lei aveva lasciato nella nostra vita. Ho chiamato Ira l’altro cucciolo che ho voluto donare a Jole proprio per non dimenticare mai la tua eroica cagnolina! Ora sono felice che il Caso abbia voluto questa unione!”.

Con tono irriverente intervenne Tecky dicendo:–“Hee, gente, anche noi abbiamo da festeggiare il nostro fidanzamento! Abbiamo fatto bingo tutti quanti! Due coppie sono nate in un colpo soloo! Tony con Jole ed io con Ira! Mho, fatto proprie na bel famigliola, tutti felici e d’accordo! Allora che ci fate mangiare,uè!” intervenne Tecky, insieme ad Ira, facendosi vedere, scodinzolando nel salone, leccandosi a vicenda. –“A quanto  pare Cupido, aveva la faretra piena di frecce e si è divertito a scagliarle tutte! Anche i cani hanno avuto lo stesso colpo di fulmine! Meglio di cosi, non poteva andare!” Esclamò Ciro, nel vederli arrivare insieme, mentre si scambiavano continue coccole e leccate sui musi.

Trascorsero pochi mesi, per organizzare il matrimonio. Ira e Tecky ebbero la loro prima cucciolata. Tecky, da bravo papà era nervoso e impaziente, ogni volta che gli annunciavano l’uscita di un cucciolo e gli comunicavano il sesso, abbaiava di felicità e si strofinava contro di me.-“ Hey Tony, hai vist che so bell, i me uaglioni, so tutti me, uguali, stesso muso, robustezza, maronna me che so belli!! No sapevo che si provava na gioia simile!”—“ Felicitazioni Tecky, adesso hai una grossa responsabilità, non se più single! Non puoi più  sbavare dietro ad ogni cagnetta che passa! Hai una famiglia sulle spalle, e dovrai essere più prudente pure sul lavoro!”—Mhoo, sent  chi parla, vedremo, cosa farai tu appena nasce a creatura tua! Pure tu adesso a star chiu accort, perché teni pure nu magistrate come moglie, chilla te fa novo, ahahah! Grazie per le felicitazioni, ricambierò a mia volta!” rispose Tecky.

E venne il giorno del matrimonio! Tutti pronti davanti alla chiesa, in posa per le foto ricordo, ad attendere l’uscita degli sposi.  I due mastini, di cornice, stavano seduti davanti agli sposi con tutta la cucciolata al seguito, l’uno sull’altro e sempre in movimento. Mai giorno credo fu così felice per tutti noi!

Una storia così, credo non l’abbiate mai letta. V’assicuro, che a distanza di anni, non è cambiato nulla!  La famiglia si è allargata! C’è una nuova casa molto grande, con un ampio parco per tutti i cani che sono impiegati in diversi servizi insieme a Tecky, ancora arzillo e attivo. Io e Jolie abbiamo due bambini, un maschietto e una femminuccia. Non sappiamo quale direzione prenderà la loro vita, intanto ci godiamo questo splendido presente e loro finché sono piccoli, consapevoli di essere protagonisti di una vicenda dove il Caso ha reso possibile ciò che pareva impossibile.

F I N E

per info email: periodicoonline.lidodellanima@gmail.com

© Rivista letteraria Lido dell’anima / Revista literară Lunca Sufletului

Numero 2

Periodico trimestrale bilingue italiano / rumeno 

25 settembre 2017

Racconti dell’anima

Il dono

Lăcrămioara Maricica Niță

In una calda notte d’estate, mi incamminai sul sentiero nella foresta dei sogni. Mille luci ballavano davanti a me per illuminare i miei passi; nel aria mi raggiungeva come d’incanto la risata allegra delle fate che volavano tra i rami in un continuo nascondiglio.

-(ckrac) Attenta!

…sento una vocina ma non mi rendo conto da dove arriva.

-Ehi, qua giù..(continua a parlarmi la voce).

Allora strizzando gli occhi sposto il mio sguardo in basso e… la meraviglia delle meraviglie, ai miei piedi si trovava un folletto. È proprio così, un folletto della foresta!

Non più grande di un mignolo con dei vestitini di color verde erba, un cappellino sulla testa grande quanto un ditale. Su di esso troneggiava un campanellino minuscolo.

Così piccino, cosi dolce ma allo stesso tempo tanto triste, guardava con gli occhi in lacrime quello che rimaneva da un’ ombrello. Era spezzato…Ma che farà con un ombrello in piena notte, con un cielo cosi limpido e pieno di stelle?

Schiarii la mia voce e dissi: Buonasera signore!

-Sarà, sarà per lei! Mi rispose borbottando senza togliersi lo sguardo dal suo ombrello.

-Guarda, un attimo di distrazione e il disastro è fatto!

-Come farò adesso? Come farò a proteggermi?

-A proteggerti da che cosa?

-Oh, povera illusa, non sai che proprio sta sera ci sarà una pioggia di sogni felici? Ogni persona che sognerà sta notte, manderà i suoi sogni felici a vivere per sempre nella nostra foresta. E allora mi ero preparato il mio ombrello resistente ma ho inciampato e si è rotto.

-Come farò? Come farò?

Vista la sua disperazione non ci pensai due volte. Frugai tra le tasche del mio cappotto e tirò fuori due pezzi di carta colorata. Mi guardo intorno e rompo un rametto dal albero più vicino, mi siedo sul muschio morbido e comincio a lavorare in silenzio.

Sento lo sguardo incuriosito del mio nuovo amichetto ma presa del lavoro e

dal desiderio di farlo felice, lavoro senza dare spiegazioni. Dopo qualche minuto metto nelle sue piccole mani il nuovo ombrello, a misura di folletto.

Vedo l’emozione, le lacrime nei suoi occhi, le parole che si bloccano nella gola, è tutto quello che deve essere: un altro modo di ringraziare.

Lo lascio guardando ancora l’ombrello e mi incammino sui nuovi sentieri per che la notte non è finita. C’è ancora tempo per altri sogni. Buonanotte!

© Lăcrămioara Maricica Niță

© Rivista letteraria Lido dell’anima / Revista literară Lunca Sufletului

Il profumo dei tigli
di Annarosa Cuppini

Il profumo dei tigli , così intenso e sensuale, unito a quello dei gelsomini, altrettanto acuto e voluttuoso  mi accoglie ancora una volta, mi inebria, avvolgendomi nel suo abbraccio e mi stordisce.
Chiudo gli occhi.
Sono ancora qui. Dove tu mai sei stato e mai sarai.
Qui, in questo minuscolo angolo in cui posso ritagliarmi una briciola, a volte una parvenza, di contenuta ridotta, minima,  vigilata libertà.
Sono i miei pensieri che qui lascio liberi di vagare, indisturbati…quelli non li vede nessuno e nessuno li può fermare. Qui non li trattengo.
Sanno dove andare.
Di quale strana materia sono fatti i pensieri?
Impalpabile, eterea, invisibile…come i sogni e come i sogni arrivano all’improvviso, quando meno te lo aspetti. A volte li scacci…puoi farlo…mentre da un sogno non puoi decidere di uscire…
I miei pensieri…
Nella mia ricercata solitudine andavano sempre in una stessa direzione.
Per anni e anni e anni.  Ogni volta che chiudevo gli occhi la mia mente andava là. O forse dovrei dire che era il mio cuore che si volgeva continuamente  verso quei luoghi.
Mente e cuore. Percorrono strade diverse, a volte sentieri tortuosi….chi può dire se arriva prima l’uno oppure l’altra ?
Chiudendo gli occhi , al suono di una musica, al sospirare del vento, al cinguettio di un passero, il mio cuore aveva un sobbalzo e nella mia mente appariva un’ immagine. In quale ordine? Non lo so più. Erano talmente fuse insieme le due cose, che non saprei distinguerle. Immagini e sensazioni. Una cosa sola.

Per anni e anni e anni.
Sempre là. Dapprima i pensieri erano lievi, spesso gioiosi, velati appena da una dolce e tenera malinconia. Erano il mio rifugio. Ricordi di un’età felice e spensierata, in cui tutto era possibile. Mio piccolo paradiso perduto in cui mi richiudevo lasciando il mondo alle spalle. Quel mondo che pur avevo scelto, ma in cui sempre meno mi riconoscevo, che avrei voluto cambiare ma non ne avevo le capacità.
Poi le cose mutarono: d’un tratto, da un giorno all’altro i pensieri più lievi, più dolci, più teneri, che mi portavano là…il destino volle tramutarli in fiele, in veleno.
Se prima erano un rifugio, una consolazione, divennero una sofferenza che toglieva il respiro, un incubo, un inferno.
Ma non  riuscivo a scacciarli, a volte si sovrapponeva la dolcezza al dolore, ma erano presenti. Sempre.
Vivevo. Cercando di non pensare. Aspettando che il tempo facesse il suo lavoro.
Vivevo. Ero sempre io, sempre la stessa, lo stesso sorriso, la stessa fragilità, la stessa forza.
Scacciavo i ricordi e i pensieri. Quei ricordi, quei pensieri. Non potevo permettermeli.
Solo a tratti mi rinchiudevo in me stessa, non vista…e allora vagavano liberi…là, in quella direzione. E poco importava se le lacrime scendevano silenziose e allagavano il mio cuore. Nessuno le ha mai viste.

È strano come la vita ci ponga d’improvviso, quasi senza apparire, di fronte a mutamenti inaspettati. Non succede tutto ad un tratto, in realtà,  siamo noi che ce ne rendiamo conto bruscamente.
Un giorno mi sono accorta  che chiudendo gli occhi la mia mente sorrideva, respiravo lievemente con avidità quel profumo sensuale, voluttuoso e il mio cuore mi portava in una direzione diversa. Mi portava da te

E sono ancora qui, dove tu mai sei stato e mai sarai, dove nulla dovrebbe parlarmi di te. Eppure mi guardo intorno e avverto la tua presenza in ogni angolo.
È davvero incomprensibile come certi sentimenti nati poco a poco, in sordina, prendano il sopravvento e sovrastino ogni altro sentire.
Qui, dove tu mai sei stato e mai sarai, sei in ogni dove, sei il mio solo pensiero, il mio solo ricordo.
Qui, seduta su questa poltrona, abbiamo conversato scherzosamente quella volta… Qui, proprio qui, è iniziato quel breve viaggio fatto insieme…
E qui… il nostro  strano “intenso” affetto ha preso la sua via…
Qui…ho sentito per la prima volta la tua risata
Qui….e poi qui… E qui….
Poi… L’istinto, il sesto senso, l’intuito femminile…
La conferma… La verità nuda e cruda.
La tempesta…
Quel grido fino ad allora  trattenuto, lacerante, uscito da un cuore ferito, colpito a tradimento.
La delusione, l’incredulità, lo strazio infinito, l’annichilimento. Il vuoto. La voglia di scomparire. Ma no, tu non hai voluto, mi hai trattenuta, supplicata. Sono rimasta. Nonostante tutto.
La mia forza, il mio coraggio…la mia speranza…il mio amore… Il tuo…

Ecco. Sono ancora qui. E tu sei ancora ovunque… Qui, dove mai sei stato e mai sarai.
(Annarosa)Il profumo dei tigli , così intenso e sensuale, unito a quello dei gelsomini, altrettanto acuto e voluttuoso  mi accoglie ancora una volta, mi inebria, avvolgendomi nel suo abbraccio e mi stordisce.
Chiudo gli occhi.
Sono ancora qui. Dove tu mai sei stato e mai sarai.
Qui, in questo minuscolo angolo in cui posso ritagliarmi una briciola, a volte una parvenza, di contenuta ridotta, minima,  vigilata libertà.
Sono i miei pensieri che qui lascio liberi di vagare, indisturbati…quelli non li vede nessuno e nessuno li può fermare. Qui non li trattengo.
Sanno dove andare.
Di quale strana materia sono fatti i pensieri?
Impalpabile, eterea, invisibile…come i sogni e come i sogni arrivano all’improvviso, quando meno te lo aspetti. A volte li scacci…puoi farlo…mentre da un sogno non puoi decidere di uscire…
I miei pensieri…
Nella mia ricercata solitudine andavano sempre in una stessa direzione.
Per anni e anni e anni.  Ogni volta che chiudevo gli occhi la mia mente andava là. O forse dovrei dire che era il mio cuore che si volgeva continuamente  verso quei luoghi.
Mente e cuore. Percorrono strade diverse, a volte sentieri tortuosi….chi può dire se arriva prima l’uno oppure l’altra ?
Chiudendo gli occhi , al suono di una musica, al sospirare del vento, al cinguettio di un passero, il mio cuore aveva un sobbalzo e nella mia mente appariva un’ immagine. In quale ordine? Non lo so più. Erano talmente fuse insieme le due cose, che non saprei distinguerle. Immagini e sensazioni. Una cosa sola.

Per anni e anni e anni.
Sempre là. Dapprima i pensieri erano lievi, spesso gioiosi, velati appena da una dolce e tenera malinconia. Erano il mio rifugio. Ricordi di un’età felice e spensierata, in cui tutto era possibile. Mio piccolo paradiso perduto in cui mi richiudevo lasciando il mondo alle spalle. Quel mondo che pur avevo scelto, ma in cui sempre meno mi riconoscevo, che avrei voluto cambiare ma non ne avevo le capacità.
Poi le cose mutarono: d’un tratto, da un giorno all’altro i pensieri più lievi, più dolci, più teneri, che mi portavano là…il destino volle tramutarli in fiele, in veleno.
Se prima erano un rifugio, una consolazione, divennero una sofferenza che toglieva il respiro, un incubo, un inferno.
Ma non  riuscivo a scacciarli, a volte si sovrapponeva la dolcezza al dolore, ma erano presenti. Sempre.
Vivevo. Cercando di non pensare. Aspettando che il tempo facesse il suo lavoro.
Vivevo. Ero sempre io, sempre la stessa, lo stesso sorriso, la stessa fragilità, la stessa forza.
Scacciavo i ricordi e i pensieri. Quei ricordi, quei pensieri. Non potevo permettermeli.
Solo a tratti mi rinchiudevo in me stessa, non vista…e allora vagavano liberi…là, in quella direzione. E poco importava se le lacrime scendevano silenziose e allagavano il mio cuore. Nessuno le ha mai viste.

È strano come la vita ci ponga d’improvviso, quasi senza apparire, di fronte a mutamenti inaspettati. Non succede tutto ad un tratto, in realtà,  siamo noi che ce ne rendiamo conto bruscamente.
Un giorno mi sono accorta  che chiudendo gli occhi la mia mente sorrideva, respiravo lievemente con avidità quel profumo sensuale, voluttuoso e il mio cuore mi portava in una direzione diversa. Mi portava da te

E sono ancora qui, dove tu mai sei stato e mai sarai, dove nulla dovrebbe parlarmi di te. Eppure mi guardo intorno e avverto la tua presenza in ogni angolo.
È davvero incomprensibile come certi sentimenti nati poco a poco, in sordina, prendano il sopravvento e sovrastino ogni altro sentire.
Qui, dove tu mai sei stato e mai sarai, sei in ogni dove, sei il mio solo pensiero, il mio solo ricordo.
Qui, seduta su questa poltrona, abbiamo conversato scherzosamente quella volta… Qui, proprio qui, è iniziato quel breve viaggio fatto insieme…
E qui… il nostro  strano “intenso” affetto ha preso la sua via…
Qui…ho sentito per la prima volta la tua risata
Qui….e poi qui… E qui….
Poi… L’istinto, il sesto senso, l’intuito femminile…
La conferma… La verità nuda e cruda.
La tempesta…
Quel grido fino ad allora  trattenuto, lacerante, uscito da un cuore ferito, colpito a tradimento.
La delusione, l’incredulità, lo strazio infinito, l’annichilimento. Il vuoto. La voglia di scomparire. Ma no, tu non hai voluto, mi hai trattenuta, supplicata. Sono rimasta. Nonostante tutto.
La mia forza, il mio coraggio…la mia speranza…il mio amore… Il tuo…

Ecco. Sono ancora qui. E tu sei ancora ovunque… Qui, dove mai sei stato e mai sarai.

©Annarosa Cuppini

© Rivista letteraria Lido dell’anima / Revista literară Lunca Sufletului

Incipit

de

RACCONTO di CONFINE

di

ALESSANDRO FLORA

 

Antécédent  

 

Ogniqualvolta mi preparo a scrivere sia giorno o notte, sia inverno o  estate che Bébert inizia a gironzolarmi attorno tenendo alta la coda, e con essa interroga l’aria segnandoci un punto interrogativo.

Non c’è che dire il mio è un animale curioso  e a volte direi persino un po’ troppo impiccione.

Sposto la tazza del tè dal tavolo per fargli spazio, lui ne approfitta subito per acciambellarsi, e facendo sommessamente le fusa attende con pazienza io inizi a scrivere; suppongo per dormire e perdersi in chissà quali mirabolanti sogni felini.

Ma una parte di me invece sospetta lui stia qui per controllarmi. Il fatto che ieri ho contattato un editore forse interessato al libro che sto scrivendo non è bastato a rassicurare Bébert circa il nostro futuro.

Il patto tra me e lui che dura ormai da sei anni è molto semplice: avendolo sottratto quando era un cucciolo alla sua genia, sono io che devo provvedere alla sua sussistenza; d’altro canto spetta a lui tenere lontani dalla nostra casa gli insetti sgradevoli tipo scorpioni e simili. Altresì, il gatto Bèbert ha un fiuto speciale per individuare tra le persone che passano a farci visita quelle sgradevoli o poco sincere d’animo. Lui riconosce subito l’ospite indesiderato e segnala la sua antipatia non entrando nella stanza dove c’è l’estraneo.

Quindi ho un assoluto bisogno di risolvere la mia e la sua questione alimentare. Per un attimo mi rabbuio, scivolo preoccupato a trovare soluzioni adeguate alle mie necessità contingenti.

In risposta a questo cresce la vile ma sana tentazione di chiudere tutto e rifugiarmi in bosco; giacché sono capace di camminare per ore sui sentieri, perdermi tra rocce e vegetazione senza mai stancarmi di stare solo nel silenzio, lontano dalle parole umane dalle mie per prime.

Certo che se ‘sto libro non riesco a stamparlo qui dovrò emigrare in fretta, magari oltralpe, dove pare possa avere qualche possibilità in più di trovare un editore.

Improvvisa batte sul tavolo innervosita la coda del gatto e sfiorando la mano mi fa uscire dalle penose riflessioni; il segnale è fin troppo eloquente.

“Tranquillo Bébert, oggi non esco”.

 

 

 

I

 

“Per scrivere la storia di una vita, bisogna prima averla vissuta; non è quindi della mia che vi scriverò” (A. De Musset)

Ai traguardi ed esperienze della vita spesso arrivo secondo oppure penultimo.

Questo è determinato da un mio certo tempismo ‘malfermo’ sui mutamenti epocali: come iniziare a fare il fonico in televisione poco dopo lo sbarco dei marines in Somalia nel 1992 dove la CNN sfiorando il ridicolo, aveva preceduto lo sbarco e ripreso dalla spiaggia l’operazione bellica. Questo fatto determinò assieme all’avvento del digitale il lento calo dei compensi per noi che in televisione ci lavoravamo.

Il mezzo televisivo non incantava più così tante masse, e le nuove tecnologie fecero  risparmiare una montagna di soldi ai network lasciando a piedi un sacco di personale tecnico.

Ad aggravare il tutto aggiungo una mia naturale indolenza a seguire i consigli dall’esterno, forse perché non sono mai stato così bravo da arrivare primo né tanto sfortunato o tonto da arrivare ultimo.

Non ho mai sentito l’ebbrezza andrenalinica nelle sfide anzi mi stancano subito e mi spingono persino all’inazione. Ho sempre odiato la competizione, perché nelle dimostrazioni di forza si fa un sacco di fatica e si perde tanto, per i miei gusti troppo tempo!

Ecco che la mia indolenza diventa pigrizia, quando divento pigro mi annoio e scusate ma questo non me lo posso proprio permettere.

Certo non è una bella cosa odiare la competizione e nascere nel mondo capitalistico degli anni ’60! Beh che c’entra? Come tanti altri prima di me, ho pensato che la vivacità civile e l’impegno politico potessero almeno in parte frenare l’amore per la concorrenza che il capitalismo prevede.

Nulla da fare! Niente è servito a frenare la deriva competitiva, anzi si è imposto il modello liberista ancora più immondamente competitivo; fu anche per questo che negli anni ’90 in tanti aprimmo la famigerata partita Iva. Di colpo ci svegliammo tutti imprenditori, pronti a sfidare il futuro e sopra ogni altra cosa le incertezze del mercato.

Torniamo al mio arrivare sempre secondo o penultimo; tutti sanno che arrivare secondi è come perdere alla grande, e al penultimo non va la compassione che il perdente completo può aspettarsi di ricevere.

Difatti a una corsa campestre a nove anni arrivai penultimo, naturalmente ero triste per il risultato ma all’arrivo una signora mi rimbrottò, per non essermi lasciato superare da quello che mi seguiva, perché poverino correndo era caduto e una vistosa fascia avvolgeva il suo ginocchio destro.

Mi sentii un verme, avevo perso e mi ero pure comportato da villano; passai un bruttissimo momento che scolorì il mio entusiasmo infantile per più giorni.

Certo per colpa della mia iper-emotività, mi rovinai delle giornate intere. Ma a causa di questo malumore procuratomi, in seguito provai tanto odio per quella comare che feci ancora delle gare campestri nella speranza di rivederla e vendicarmi, anche se non avevo capito bene ancora come, ma sicuramente capivo di odiarla.

Poi come sempre nelle convinzioni che ho, trovo  crepe e contraddizioni.

Tipo ‘sto discorso del secondo o penultimo non regge perché per dire, io nella mia famiglia sono l’ultimo dei fratelli.

Uhm,  vediamo un po’ come proseguire distraendo il lettore da questa  piccola contraddizione. Cercare qualcosa d’interessante che svii l’attenzione dalle mie incongruenze.

Ecco qua ci sono, le mie origini! Partirò dall’antica tradizione marinaresca di parte paterna considerando il fatto che dal mio trisavolo a  mio padre e pure i suoi zii e cognati, ma anche i miei cugini sono tutti marittimi o marinai.

Vi prego di non fare affrettati commenti sulla moralità delle donne della mia famiglia lasciate sole per tanto tempo, e soprattutto non azzardatevi a frettolosi giudizi sulla fedeltà dei loro uomini sempre in giro per mari….e porti! Sarebbe troppo facile.

© Alessandro Flora – Testo tratto dal Racconto di Confine 2017

© Rivista letteraria Lido dell’anima / Revista literară Lunca Sufletului

per info email: periodicoonline.lidodellanima@gmail.com

© Rivista letteraria Lido dell’anima / Revista literară Lunca Sufletului

Numero 1

Periodico trimestrale bilingue italiano / rumeno 

25 giugno 2017

Racconti dell’anima

L’abito vecchio a caro prezzo

di Lidia Popa

Potrei scomparire nella notte vestita solo di questo abito vecchio, quasi  scolorito. Mi sono scordata pure da chi lo ricevuto o dove lo comprato.

Non  mi riconoscerebbe nessuno senza trucco. Capelli arruffati dal vento. Sembrerei una povera selvaggia che nutre i piccioni.

Sono abituati troppo ad abbiti firmati, come si dovessi comparire su una passerella, tutti giorni. Loro non conoscono i sacrifici .

Sono pieni di pregiudizi. Ti misurano da testa ai piedi come se ti passassero sopra le onde gamma della tac per l’addome.

Mi passano mille acque, mentre mi lanciano sguardi freddi, inappropriati a degli esseri capaci di intendere e di volere. Che di intendere non si parla guardandogli nei occhi.

Mi sento ad un continuo esame di vita. Come ti muovi? Come ti metti? Come ti sposti? Per fortuna ancora a tacchi alti. Cosi se qualcuno mi crea qualche fastidio, potrei prenderlo a calci in cullo sul serio.

Ultimamente mi fa male anche il fegato, dovrei chiedere al medico di farmi qualche prescrizione. Ho un continuo dolore sotto le costole di destra, come una ferita aperta. Troppo stress.

Mi chiedo se si può morire per lo stress?

Ho letto che ansia, depressione e mancanza di fiducia possono accrescere i rischi d’infarto e tumore. Alcuni studi britannici affermano che in casi di disaggio sociale s’incide profondamente sul numero di decessi per patologie cardiovascolari o oncologiche.

Ultimamente direi che di stress ho avuto proprio fortuna.

Stamattina avevo rovesciato dei barattoli di vernice sul pavimento, mentre correvo come la matta tra il  bagno e camera da letto a prepararmi per uscire. Mancava solo quello a farmi ritardare e beccarmi un nuovo avvertimento dal capo del compartimento risorse umane. Che di umano questo non ha mai niente, cosi taglienti le sue parole, persino quando non riesci ad arrivarci per qualche, scioperò selvaggio nei trasporti, come se fossi tu l’organizzatore della decadenza di un’intera società.

Una dietro l’altra alle dieci circa mi chiama l’economista che si occupa della gestione dei fondi per le trasferte dicendomi che ho da restituire anche questo mese cento euro dal misero stipendio per aver scelto un alloggio con una stella più alta per il viaggio a Milano che

avevo eseguito nell’interesse della compagnia.

E cosi che la mia libertà comincia a sminuirsi, la libertà di uscire con le amiche, la libertà di visionare un film al cinema, o di andare una sera ad uno spettacolo teatrale. Pian piano sarò costretta a respirare anche di meno, perché nemmeno il condizionatore d’aria lo posso accendere per quanto dovrei pagare l’elettricità che aumenta di prezzo ogni due mesi.

Vorrei tanto capire tutti questi aumenti che m’invadono e soffoca la vita, restringendomi le libertà al minimo della sopravvivenza. Diventa tutto come un abito vecchio che è costato caro, ma non lo puoi indossare perché troppo stretto.

Allora meglio scomparire nella notte cosi tolgo l’oppressione della mia mente per sempre.

Mi sciolgo come la scurissima umbra lungo i viali che mi portano verso casa. Apro la porta se trovo la chiave giusta. Butto i tacchi che mi rovinano i piedi, le calze le slancio nel cestino della biancheria sporca. Mi spoglio e mi butto sul letto. cenerò domani se mi sveglio in tempo per collazione.

Notte. Santa leggera notte. E il respiro diventa lento.

© Lidia Popa

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© Rivista letteraria Lido dell’anima / Revista literară Lunca Sufletului

Il metro del piccione

di Piero Travaglini

(testo tratto dal romanzo – 2015 – Manni Editore)

Capitolo primo

Mai avrebbe creduto Moreno  che l’incontro con un piccione e la morte tragica di un perfetto  sconosciuto  sarebbero  stati all’origine di grandi trasformazioni  della sua vita, e che entrambi  i fatti    il volatile e il dramma umano, fossero tanto rivelatori e sorprendenti  da cambiare la sua visione del mondo,  sconvolgere  le sue abitudini  ed affermare in lui nuovi valori. Invece accadde, e in capo a due mesi non era più lo stesso.

Tutto cominciò all’inizio dell’estate, un giorno in cui il cielo limpido, la luce calma e il clima mite parvero  sorridergli  non appena al mattino  si alzò dal letto.  Poi, spalancata la finestra a quell’aria  nitida e gaia, e rivolto il pensiero alla ragazza, aveva immaginato  di leggere sopra le case, sullo sfondo azzurrino  e luccicante che sovrasta­ va il quartiere,  la scritta “Oggi vedrai Stella e vi amerete!”  E in uno stato di trepida esaltazione era uscito di casa. Si sentiva intriso di lusingato benessere,  e l’idea d’incontrare   la sola persona  che contava per lui gli ispirava un sentimento  intenso  e appassionato.

Stava appunto  camminando  alacremente  in direzione  della fermata del metro  per recarsi dalla sua amata, quando  si sovvenne  di non averle comprato  il regalino. “E adesso che faccio, vado senza?” pensò arrestandosi  di colpo alle strisce pedonali.  Il giorno prima, in un momento  di slancio affettuoso,  si era proposto di portarle  qual­ cosa di carino, ma poi vuoi per distrazione  vuoi per negligenza  gli era uscito di mente.

Moreno  non era tipo lezioso, raramente  faceva regali alla fidanzata, non parendogli  doversi sostenere il sentimento  che veniva dal cuore  coi pacchetti  infiocchettati,  né dare prova  di devozione  con ninnoli  e collanine.  Però a quel tempo  lo inteneriva  il pensiero  di lei, sentiva di amarla ogni giorno  di più e voleva farla felice. Guardo i negozi posti sui due lati della via, quasi sperando  di cogliere in vetrina l’oggettino adatto. Ma l’orologio  al polso  segnava le dieci e mezzo, troppo  tardi per mettersi a­ cercare qualcosa che potesse piacerle, doveva rinunciarci.  Provò  rammarico,  profondo rammarico, e  a seguire dispetto   e stizza  per  non essersi svegliato   in tempo,  e  gli parvero,   quei  sentimenti,    così pungenti    e  puntuali,   una prova  ulteriore  dell’amore    che provava   per  lei.

Fu  dopo  quel  minuto   di sosta  al semaforo   che attraversò   la strada per  entrare   nella  stazione.   Nell’attimo   un  motorino   smarrnittato,  passando    con   gran  rumore    fece  scappare    dal marciapiede    un branco   di piccioni,   i quali  alzandosi   in volo  gli andarono    tutti   ad­ dosso.  Venne  investito    da un turbine   di penne e di piume.   Poi i piccioni  si dileguarono,  alcuni volando  via, altri posandosi  qua e  là. Uno  solo si spinse in fondo  alle scale ed entrò nel tunnel.

Pensando  che potesse urtare  le ali sul muro  e farsi male, o peg­gio rimanere  intrappolato,   andò  a posizionarsi  al centro  cercando di bloccarlo. Ma se teneva le braccia basse l’uccello  andava su intenzionato  a passargli  sopra;  se le alzava tentava  d’infilarsi  di sotto. Erano  manovre  che denotavano  una buona  dose  di furbizia.  Disse:

«Ehi, perché vuoi entrare qua dentro?  Che te ne importa  della metropolitana!»  Si rese conto di parlare  ad un piccione  e gli venne da ridere.

Una  signora  che stava entrando,  trovandosi  quel  coso  svolazzante  davanti  agli occhi,  cacciò un  urlo  e  tentò  di smanacciarlo.

«Ah! Via!.. »

«Signora, ma che fa?» Si mise in mezzo tra lei e il pennuto.  «È so­ lo un piccione … » Dovette fermarla in tempo e bloccarle la mano, altrimenti l’avrebbe colpito. «Non sta facendo niente di male … »

«Mi ha spaventato!  … piccione schifoso!»

Più delle parole  lo irritò  il tono  sprezzante;  per rivalsa prese le difese dell’uccello.  «Calma prego …  Quel piccione è sotto la mia tu­ tela e non si azzardi  a toccarlo. E impari a rispettare  gli animali!»

Il piccione  si posò  a terra e cominciò  ad avanzare scansando  le gambe di coloro che uscivano. A Moreno  dava l’idea di uno gnomo tra giganti. Un giovanotto  tentò  di rifilargli un calcio.  «Ehi!» gli si avventò come una furia. «E se ti prendessi  io a calci!». Ci mise tanta di quell’irruenza   nel prenderlo  per il petto. e sbatterlo  contro  il muro,  che il giovane, spaventato,  fece con la mano un gesto arrendevole balbettando  qualche parola di scusa.

Si  era fatto  un  punto   d’onore    dell’incolumità     del pennuto.    Non che  amasse  particolarmente      i volatili,    però  non  gli andava  di veder­ li maltrattare.

Poiché   il piccione   non  si  decideva   a fare  dietrofront,     prese  lui  a deviare  le persone   onde  evitare   che lo calpestassero.    «Tu,  attento   al piccione!.  ..  E tu non  passare   al centro!  …  Ehi,  occhio!   Guarda   dove metti  i piedi …     » Un anziano  signore che si era fermato  a curiosare si sentì  in dovere di avvertirlo. «Ragazzo,  se quel piccione va sotto, finisce contro  il treno  e si  ammazza.»

«Tranquillo,  il treno non ammazza nessuno.»

«Meglio farlo uscire …    »

«Adesso  ci penso io,  lo catturo  e lo porto  fuori.»

Avanzando  con cautela lo costrinse  contro  il muro.  «Sta’ buono …    non voglio farti niente … »  L’uccello aveva il  piumaggio  interamente bianco, tranne un cerchio cangiante  sul collo tra l’azzurro e il viola.  Gli occhi parevano due pietruzze  nere.  Moreno  era intenzionato  a prenderlo al primo assalto; mentre portava la mano avanti preparandosi   a scattare, pensava: “Adesso  lo afferro per il groppone e lo  catturo”. Ma non aveva familiarità  con gli uccelli, né fu svelto abbastanza  a trattenerlo e gli scappò: a contatto delle dita avvertì un corpo  sorprendentemente   morbido  e soffice.  “Sembra fatto  di seta!”  esclamò tra sé e sé, piacevolmente  sorpreso, “è bello toccare un piccione!”

Non  aveva mai toccato  un piccione  prima  di allora,  né rivolto particolare   attenzione   alla specie animale  più  diffusa  in  città.  Al massimo partecipava  con umana compassione  se ne vedeva qualcuno stecchito  sotto  le ruote  delle macchine, niente  di più. Ma la tenera pressione  e quel dolce contatto  sulle palme fu per lui una vera scoperta.

Quatto  quatto  il piccione  guadagnava metri,  e Moreno  si chiedeva perché volesse  scendere nella metropolitana.   Per curiosare?  I piccioni  erano uccelli curiosi?  Gli sbarrò  il  passo.  Riprovò  ad ac­chiapparlo  ma andò a vuoto  la seconda e la terza volta.  L’uccello si dimostrava   più svelto e frullava via lasciandolo   a mani vuote.  Poi tornava  indietro  e riprovava a passare.

© Piero Travaglini

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Nota di Lidia Popa

Questo libro “Il metrò del piccione” di Piero Travaglini è una delle letture più coinvolgenti perché oltre al filo conduttore che è questo piccione che l’autore lo descrive come in un film, si induce nel lettore la voglia di riscoprire i classici della letteratura e anche di conoscere a avvicinare il mondo della ricerca chimica. Un miscuglio tra il classico e moderno degno di leggere e rileggere in un giorno tutto per passato respirando aria nel parco tra gli alberi immedesimandoti nella trama e perché no anche in riva al mare sotto l’ombrellone.

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La verità

di Katia De Benedictis

Quando guardo le espressioni spudorate di chi si smentisce senza vergogna, mi chiedo cosa sia vero e cosa non lo sia! Mi accorgo che alle orecchie di chi ascolta, tutto può essere corretto e ogni certezza può essere demolita all’istante. Le possibilità sono infinite ed esiste il bianco che diventa nero in un battito di ciglia, come esiste l’acqua del fiume che risale la montagna contro natura oppure il fumo che non annebbia la vista. La realtà si distorce come pongo tra le dita e svicola nella memoria creando sempre un’alternativa. Alla fine è tutto vero ciò che decide la testa, ciò che vuol capire, ciò che vuol vedere, ciò che vuol sentire… oggi. Domani si cambia! La stessa verità galleggia tra ipotesi e fantasia, e anche secoli di convinzioni diventano bugia. Cosa è giusto e cosa non lo è allora? Tutto e il contrario di tutto credo lo sia finché la coerenza si vestirà di ipocrisia, ma, per non sbagliare mai in questo mondo di specchi, la sola cosa giusta dovrebbe essere almeno quella di non mentire mai a sé stessi.

Pomeriggi distratti

di Katia De Benedictis

Certi pomeriggi abitano distratti il nostro tempo, sospesi su equilibri neutrali e asettici che li lasciano cadere dentro l’oblio dei nostri ricordi. Senza alcun vigore, passano flemmatici davanti ad una finestra per rubare un raggio di sole a un gatto sornione, disteso sul muro di cinta. Silenti soffiano sull’erba di un giardino incolto che fa fatica a svegliarsi dal torpore dell’inverno e fanno lo slalom, con gli occhi, tra le gocce cadute da una nuvola passeggera. Un pedone attraversa incauto la strada nervosa mentre si perdono dentro i pensieri che si accavallano al rumore delle auto e allo squillo di una telepromozione fastidiosa. Frattanto il profumo del caffè ridesta i sensi che si impregnano di buono come i Pavesini del tiramisù.

Senza smuovere troppo l’aria intorno, scivolano silenti dalle mani, che sfogliano deluse un libro noioso, per infilarsi mesti dentro morbide pantofole abbandonate ai piedi del divano. Modesti e pigri si nascondono furtivi tra le pieghe della sera che li ingoia senza di loro lasciar memoria.

Certi pomeriggi sono come lo spazio bianco che separa i capitoli importanti della nostra vita: restano invisibili ma ne fanno parte. E quando si impilano dentro una serie di pagine vuote dovremmo imparare a sporcarli d’inchiostro per non rischiare di diventare invisibili come loro.

© Katia De Benedictis

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Nota di Lidia Popa

Due racconti bonsai di Katia De Benedictis ben strutturati da leggere nella pausa pranzo come un sciogli lingua con musicalità di una poesia.

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Amicizia con l’A’ Maiuscola

di Antonio de Lieto Vollaro

 

Termini Imerese 1965

 

Giorgio e Ninuzzo, sono cresciuti insieme, fin dai primi anni della loro vita. Giorgio, figlio

unico di operai della Fiat, trasferitesi da Torino a Termini Imerese, quando era ancora di

pochi mesi. La famiglia di Giorgio era riuscita ad ottenere un modesto appartamento in un

agglomerato di palazzi popolari. Ninuzzo invece è siculo dalla nascita, i suoi vivono

d’espedienti, il più delle volte illeciti, e spesso il padre entra ed esce dal carcere, mentre la

madre, prova tanti modi, per sopravvivere con il figlio. La loro amicizia nacque già fin

dall’asilo nido comunale, incrociandosi carponi, a condividere delle matite per disegnare.

Seppur di modesto ceto sociale, e comunque brava gente, entrambi i genitori erano riusciti

a trasmettere un minimo d’educazione e sani principi morali, tenendolo sempre fuori, dai

loro problemi economici e personali. Sarà stata anche la vicinanza del suo amico Giorgio e

il frequentare la sua famiglia, andando a studiare a casa loro, che Ninuzzo riuscì a tenersi

fuori dai guai e dal brutto ambiente del loro borgo, evitando di frequentare dei ragazzi, già

dediti alla microcriminalità. Crescendo, entrambi ancora bambini, mostravano già un bel

fisico robusto; Giorgio di carnagione tipicamente chiara del nord, con occhi chiari e capelli

sempre rasati corti, Ninuzzo invece di carnagione tipicamente scura e perennemente

abbronzata, da farlo scambiare per un immigrato, con chioma alla Nino d’Angelo, del

quale era uno sfegatato fan. Sarà per tenerezza, o per forma di solidarietà, che la famiglia

di Giorgio l’accolse con amore in famiglia, dando spesso aiuti, procurando dei lavori

saltuari alla madre e a volte anche al padre. Finite le elementari, Ninuzzo, mostrava

svogliatezza nello studio e non voleva più continuare gli studi. Giorgio gli voleva bene

come il fratello minore sempre desiderato e mai avuto e lo consigliava sempre per il

meglio, stimolandolo in ogni cosa. L’estate in Sicilia, rispetto alle altre regioni, arriva in

anticipo, e in concomitanza con le vacanze estive.

-“Ninuzzo, ora pensiamo a riposarci e divertirci! Mio padre mi ha promesso che questo

week end ci porterà in una spiaggia bellissima, dove potremo fare il bagno e giocare sulla

spiaggia!”

– “ Beato te, io invece dovrò aiutare mia madre a lavorare! Mio padre è dovuto partire

nuovamente per cercare lavoro lontano! Questa volta pare che starà via parecchio! Non

m’iscriverò neppure a scuola, non abbiamo i soldi e non tengo neppure la voglia, di

studiare, pensando ai sacrifici che deve fare mia madre, per farmi studiare!”. Rispose con

tono mesto.

–“Ninuzzo ma che dici, non puoi abbandonare gli studi! Devi farlo per te, e proprio per tua

madre e non credo che lei sappia già le tue intenzioni! Il nostro futuro, sta nella cultura, più

sai e meglio puoi difenderti da chi vorrà prenderti in giro! Inoltre che lavoro potrai trovare

senza un titolo di studio appropriato? Io vorrò fare il poliziotto, come il commissario

Maigret o quelli che si vedono in tv e nei films americani! Lottare per la giustizia e

difendere i deboli come te!”- rispose Giorgio, mostrando invece idee ben chiare sul suo

futuro.

–“Già, e morire ammazzato in un conflitto a fuoco! Bella prospettiva! Io, vorrò fare il

muratore o il barista, guadagnerò poco, ma vivrò più a lungo, nel farmi i fatti miei! Magari

un giorno riuscirò a comprarmi una casa tutta mia, con annessa l’attività dove lavorare!

Lavorerò si, duro e onestamente, come fanno i miei, e andare comunque orgoglioso, di

non aver dovuto sparare a nessuno o morire per una raffica di mitra in una rapina!”- ribattè

Ninuzzo.

-“In ogni caso, a questo penseremo quando saremo un pò più grandi, adesso ci toccherà

fare le medie, e poi alle superiori, decideremo gli studi da fare! A te ci penserò io, ti

procurerò i libri per studiare ed aiutarti nelle materie dove avrai più difficoltà! E poi sentivo

dire ai miei che si stanno prodigando a trovare un lavoro più redditizio a tua madre! Verrà

a fare le pulizie nel nostro palazzo, inserendola in una cooperativa!”- gli rispose

abbracciandolo, mettendogli un braccio sulla spalla.

-“Wow, grazieee! Non vedo l’ora di dirlo a mia madre! E grazie anche a te che riesci a

farmi trovare sempre il sorriso! Chi arriva ultimo, paga il gelato, dai corri!”- lo ringrazia

Ninuzzo, girandosi e stringendoselo forte a se, per poi scappare via correndo, sapendo

che il gelato alla fine lo pagherà sempre il suo amico.

L’estate scorse veloce, come tutte le belle estate degli adolescenti, passandola

spensieratamente. A settembre, iniziarono le lezioni, e pure Ninuzzo, fu presente, come

vicino di banco del suo amato amico Giorgio. I mesi volarono via veloci e arrivarono pure

le festività, chiudendo un anno, mediocre per tutti. Quello nuovo purtroppo, iniziò nefasto

per Ninuzzo, che divenne orfano di padre, a causa di male incurabile, il cui letto di morte,

fu la brandina del carcere, e pure ciò a Ninuzzo, ci fu celato per molti anni. La madre di

Ninuzzo, subito dopo la morte del padre, subì lo sfratto e dovette accontentarsi di vivere in

un monolocale di uno scantinato, nel complesso delle case popolari, dove viveva Giorgio

con la sua famiglia. Ninuzzo, attaccassimo alla madre, ne era gelosissimo, man mano che

cresceva, poiché vedeva sempre diverse figure maschili che le ronzavano attorno, e mai

che lei si decidesse ad avere una storia stabile, per sistemarsi definitivamente e di questo

se ne vergognava tantissimo.

Gli anni passavano e pure il periodo dell’adolescenza, e iniziarono i primi problemi sociali.

Giorgio subiva una rigida educazione e un orientamento scolastico specifico, mentre

Ninuzzo, abbandonò gli studi, dopo aver concluse le medie a malapena. Con l’abbandono

degli studi, inesorabilmente accadde pure un allontanamento e frequentazione d’entrambi

e la famiglia di Giorgio, che già cominciava veder prendere a Ninuzzo, un incerto destino,

non compiacente. Il destino aveva già segnato un solco per entrambi. Ninuzzo si vide

costretto a aiutare la madre, cercando di lavorare in qualsiasi modo, lavori onesti

inizialmente trovati dalla famiglia di Giorgio, come meccanico, garzone di bar, manovale

eccetera. I pochi soldi guadagnati non bastavano mai, la benzina per uno scassato

motorino, l’uscita con le prime ragazze, per non parlare delle bollette di luce, dell’acqua, la

morosità dell’affitto di quella stamberga, che divennero stimolo di depressione per madre e

figlio, più per Ninuzzo, che voleva vedere serena la madre. Ogni giorno si alzava alle 6 del

mattino, per andare a lavorare, lasciando tutto pulito a casa, compreso caffè pronto e delle

fette di pane con della marmellata racimolata in qualche bar, nelle piccole confezioni. La

madre dormiva ancora quando lui, usciva di casa e la sera si ritirava tardi, quando lui già

dormiva, essendosi coricato presto. Una sera fu invitato dal datore di lavoro, insieme ai

suoi colleghi, ad una serata spensierata. L’indomani avevano il giorno libero, e cosi quella

sera fecero più tardi del solito. Come spesso accade, grazie a qualche birra di troppo,

l’euforia fa da tentatrice e i suoi colleghi lo trascinano nel luogo frequentato dalle

passeggiatrici. A bordo di una delle macchine d’amici, accostano una prostituta, più per

divertirsi che per fare sul serio. Sarà stata la sbornia o una canna di troppo che Ninuzzo

intravede da lontano un’auto ferma a lui familiare. Scende dall’auto per cercare di capire

chi è la persona a bordo, ma quel che vede non gli parse vero. Il tizio che sta

frequentando ultimamente sua madre, è un pappa, uno sfruttatore di quelle povere

ragazze. Risalito in auto, chiede di voler essere accompagnato a casa, che non si sente

bene, ma nel fare inversione per tornare indietro, passano davanti a quell’auto,

posteggiata mezzo nascosta, tra le fronde degli alberi del viale, già poco illuminato, ebbe

la conferma di quel che mai avrebbe immaginato.

Di colpo chiede d’arrestare l’auto e di farlo scendere immediatamente.

–“Hei ninuzzo, ma che lo conosci quello la? Allora sei di casa qui! Te le fai gratis e non

dici niente agli amici tuoi?”- gli scherzano dietro, per poi zittirsi di colpo. Ninuzzo ha visto

quel che mai avrebbe voluto vedere e sentire.

-“E tu cosa ci fai qui? Io credevo che tu andassi a lavorare onestamente, senza bruciare la

tua e la mia di dignità! Tutte le cose belle che mi dicevate tu e papà, che fine hanno fatto?

Che senso avevano per voi? Mi dicevate sempre che il nostro futuro era basato sul vostro

lavoro onesto! Tu lavori nell’impresa di pulizia, ed io dalla mattina alla sera come

manovale e come barista! Due lavori, per vederti serena, e mi ripaghi cosi? Che motivo

c’era per metterti a fare pure questo schifo di lavoro? Chi questo bastardo al quale ti ho

visto dare dei soldi?” gridò in faccia a sua madre, truccata ed abbigliata

inequivocabilmente, oltre alla scena alla quale ha appena assistito.

-“Hei tu, cosa vuoi, non venire a disturbare chi lavora! Togliti dai coglioni, tu e i tuoi amici!

Se volete scopare bene, oppure ve ne andate via, prima che perdo la pazienza! E tu

vattene subito a lavorare, per recuperare il tempo che hai perso con questo bamboccio!”-

intervenne nel frattempo il tipo che stava in auto.

–“Lei è mia madre e verrà via con me! Ti riconosco, ti ho visto più volte vicino casa mia! Ti

è andata bene finché non ho scoperto che razza di bastardo sei! Se mio padre fosse stato

ancora vivo, tu non ne avresti potuto approfittare! Ora ci sono io, che so e con noi hai

chiuso! Vattene via tu, invece, prima che ti faccio a pezzi, pezzo di merda che non sei

altro!”- gli rispose con il sangue agli occhi, mettendosi davanti a sua madre a proteggerla.

Il tizio, con molta flemma, girò il braccio dietro la schiena e lo ripropose in avanti con

pistola in pugno.

-“Bene, vedo che è arrivato il momento, di parlare un’altra lingua, ma a parlare sarà la mia

fidata amica, che non sbaglia un colpo!”- ribattè prontamente, puntandogli la canna della

pistola, dritto in mezzo agli occhi. I suoi amici, comprendendo l’angoscia del loro amico, e

in quali altri guai, stava per ficcarsi, sono scesi dall’auto, per difenderlo e di tirarselo via.

Nel frattempo, uno di loro aveva avvertito la polizia, per quel che stava accadendo.

–“Ninuzzo, se mi vuoi ancora bene, vattinne, questo non è luogo per te! Io tornerò a casa,

come sempre stanotte! Adesso non fare sciocchezze, questa è gente che non scherza! Tu

hai un futuro davanti, onesto e tranquillo! Io e tuo padre abbiamo fatto l’impossibile per

tenerti fuori, da queste tristi realtà, perché volevamo che tu crescessi pulito e immune al

virus della criminalità come i coetanei tuoi, del nostro quartiere! Ti giuro che non ho mai

fatto questo mestiere, ma sono stata costretta dai debiti!”- si mise a gridare sua madre,

sperando di convincerlo ad andarsene.

–“Si Ninuzzo, andiamo, qua finisce male per tutti! Questo spara, e non gliene frega niente

d’ammazzarci tutti! Magari ha già altri morti sulla coscienza, sempre che ne abbia una!”-

gli fanno eco gli amici suoi, sperando che la cosa finisca li, tirandoselo via. Il suono delle

sirene della polizia, ha fatto desistere il tizio, che ha preferito allontanarsi, per non avere

noie con la polizia, tuttavia prima d’andarsene fece segno a Ninuzzo, che avrebbero

proseguito la discussione. I colleghi suoi, riuscirono a buttare dentro l’auto Ninuzzo, che si

tirò dietro pure sua madre. All’arrivo della polizia, il luogo risultò come sempre, animato

solo dalle prostitute e dai clienti che s’andavano fermando di volta in volta. In auto, il

silenzio tra gli occupanti, procurava a tutti una sensazione di gelida prospettiva, che

qualcosa si era inevitabilmente rotta tra Ninuzzo e sua madre, ma fondamentalmente

dentro di esso, era avvenuta una pericolosa spaccatura dell’anima. Quando mancano i

soldi, le tentazioni di facili guadagni, offerti nell’ambiente nel quale vivevano erano

fortissimi, specie per un ragazzo divenuto ormai adulto, con le necessità di vita che ne

conseguono, nato e cresciuto nella miseria e desolazione familiare, restato orfano di

padre. La droga e le bande di giovani criminali, dedite a scippi, rapine e spaccio, fu l’inizio

di un tracollo di una realtà al quale non era per nulla preparato a cui si era sempre rifiutato

di farne parte. Seppur povero, era cresciuto con dei sani principi, trasmessagli dai suoi

genitori, anche se essi stessi, erano stati i primi a trasgredirli, nel nome della

sopravvivenza del loro unico tesoro. A casa, seppur giunti a tarda notte, Ninuzzo non si

dava pace.

-“Mamma, dimmi una cosa, sincera: papà lavorava onestamente, oppure anche lui, era

dedito a traffici illeciti? E tu? Devi dirmi tutto, adesso, ora, non andremo a letto sempre se

ci andrò, se prima non mi avrai raccontato tutto!”- gli disse con tono rabbioso, ma fermo e

deciso.

-“Papà, non era un criminale, non ha mai fatto male a nessuno! Ha sempre espletato vari

lavori spesso umili, faceva solo qualche furtarello di poco conto, e contrabbandava

sigarette, oppure quando aveva la bancarella di rigattiere, capitò di vendere qualche

oggetto di dubbia provenienza, sicuramente furtiva! Lui prendeva solo qualche

percentuale, appena riusciva a venderlo! Io ero sempre a conoscenza dei suoi movimenti,

delle sue azioni, e lo aiutavo quando potevo, a coprirlo pure con falsi alibi! Tu però dovevi

restarne fuori, ci promettemmo a vicenda, che tu dovevi avere il necessario per studiare, e

crescere bene, per costruirti una vita onesta e prosperosa! E cosi sarà, devi continuare

sulla tua strada onesta! Tu sei cresciuto bene, con i sani principi che t’insegnammo! Per

l’ignoranza, a stento sapeva scrivere e leggere, che si trovò dopo la guerra a fare mestieri

umili! Ecco perché facevamo sacrifici per farti studiare! Tu almeno hai la terza media e un

lavoro onesto puoi farlo!” Le raccontò piangendo sua madre.

–“E tu come sei finita a fare quella vita? Adesso per tutti sono il figlio di una puttana! Una

umiliazione e una vergona, con i miei amici e colleghi che resterà indelebile! Con quale

faccia potrò presentarmi al lavoro, dopodomani? Il mio futuro è crollato stanotte, e non

perché non potrò andare a lavorare li, ma sono crollati i miei ideali, si è cancellato in un

istante, quel che mi avete amorevolmente insegnato! Non so più a cosa credere, cosa

fare, che decisione prendere! Che legami hai con quel tizio? Perché ti tratta come una sua

schiava?”- le chiede prendendola per le spalle e tenendola stretta contro il muro della

cucina.

-“Gli dovevo dei soldi, molti, rispetto a quelli che riusciamo a guadagnare entrambi!

Quando morì papà, io non sapevo come fare per andare avanti! Si presentò come un

amico di tuo padre, dicendomi che gli doveva un favore, e cosi mi diede dei soldi! In

seguito però divenne uno strozzino, ne voleva sempre più, e mi disse che se lavoravo per

lui, avrei potuto risolvere il problema! Mi veniva difficile affrontare quel tipo di vita che non

l’ho mai fatto prima, cosi una di loro, mi ha dato della polvere bianca, che m’avrebbe fatto

trovare la forza e il coraggio di farlo! Il risultato è stato che il debito è aumentato, per

potermi pagare pure quella merda bianca!”- rispose in lacrime abbracciandoselo.

– “Ah ecco, io ero la persona estranea con cui non potevi parlarne! Invece ridurre la nostra

famiglia ancora più da schifo da come si trova, è stata una scelta azzeccata! Lavorare

questi anni per niente, cercando di tirare avanti, facendomi forza dei vostri principi e

insegnamenti! Sai quante proposte ho avuto da gente che m’offriva lavori redditizi?

Spaccio, rapine, furti, scippi, truffe, e ti sostengono pure con l’avvocato giusto, che riesce

più con altre conoscenze, che con la sua vera abilità a farti uscire fuori, e addirittura con la

fedina penale pulita! Invece no, sempre no, perché credevo in quel che mi avevate

trasmesso! Cazzo cazzo cazzo, cosa devo fare adesso? L’unica strada è andarsene via

da qui, cambiare aria, città, nazione, se occorre, tu per il tuo strozzino magnaccio, io per

non essere lo zimbello del quartiere, per giunta facile obiettivo di ricatti e d’intimidazioni !”-

le dice calmandosi un po’, passando dalla rabbia a una forma di rassegnazione per il

totale cambiamento che li aspetta.

– “Hai ragione, fuggiamo via e ricominciamo da zero! Facciamo subito le valigie e

scappiamo stanotte stessa!” Gli fa eco sua madre.

-“No, stasera è troppo presto! Lui ci terrà d’occhio, abbiamo bisogno d’aiuto e di soldi, per

andarcene, senza far capire nulla a nessuno! Solo chi so io, potrà sapere la verità! Domani

non aprire e non rispondere a nessuno! Se proprio dovrai rispondere, dirai che hai il ciclo e

non ti senti bene, cosi avremo qualche giorno di tempo per organizzarci! Al resto penserò

io!”- le dice sollevandole il viso e baciandola sulla guancia. Attende che lei s’addormenti ed

esce di casa. E’ quasi l’alba, quando va a bussare alla porta dell’appartamento di Giorgio.

Gli va ad aprire sua madre, che stupita di vederlo dopo tanto tempo, immagina che si trovi

in guai seri e lo fa accomodare.

-“Ninuzzo, che succede, hai bisogno di soldi?”- gli dice subito capendo che è li per

chiedere aiuto.

-“Si signora Rosa, mia madre è caduta nelle mani di uno strozzino a mia insaputa! Ci ha

già minacciati! Dobbiamo fuggire, non voglio sottostare a quel porco! Cercavo Giorgio, ho

saputo che è entrato in polizia!”-le risponde.

-“Non c’è, infatti è a Roma a completare la scuola di polizia! Denunciate il fatto e vedrete

che si risolverà tutto! Occorre avere fiducia nelle istituzioni e nello stato! Proprio tu che hai

sempre sostenuto ciò, e adesso vuoi fuggire?”- le ribatte la signora.

-“Signora Rosa, non è il momento per discutere delle mie ideologie e idee! Se può aiutarmi

bene, altrimenti grazie lo stesso! Io e mia madre abbiamo pochissimo tempo! La devo

liberare da una brutta schiavitù, e dobbiamo partire stanotte stessa, prima che viene a

cercarci a casa!”- le dice, quasi urlando. –“Shhh, calmati, finisci col

svegliare tutto il palazzo, vedo cosa posso darti! Entra, non è bello stare davanti la porta!”-

gli rispose, tirandoselo per un braccio. Ritornata nella stanza da letto, il marito le sente

aprire il cassetto del comò –“Rosa, perché ti sei alzata? Cosa stai cercando di fretta, alle

quattro del mattino? Io fra due ore devo andare a lavorare! Cosa succede, perché sei cosi

trafelata?” le chiede, con un occhio chiuso e l’altro aperto.

–“Scusami caro, non volevo disturbarti, ma pare che Ninuzzo, si sia cacciato in un brutto

guaio! Mi ha chiesto aiuto, vuole lasciare la città, adesso! Pare che degli strozzini li

abbiano minacciati! Ha cercato di Giorgio, sperando in un suo aiuto immediato come

poliziotto! Teme che li vengano a cercare a casa a breve! Mi ha parlato che vuole liberare

sua madre da una schiavitù! Probabilmente li pressano chiedendole sempre più soldi, oltre

la cifra iniziale pattuita!”- le ribatte lei.-

“ Oh Santo Dio!”- esclamò lui.-“Alle quattro del mattino, non possiamo certo chiamare ne

Giorgio, ne il nostro caro amico, che già ci sta favorendo per Giorgio all’accademia! Fatti

lasciare un recapito telefonico, cosi vedremo domattina di poterlo contattare, appena

avremo saputo come aiutarli! Ninuzzo è un bravo ragazzo, molto sfortunato! Non credo

che lui si metterà mai a fare cose illegali, ma di fronte a proteggere una madre e se

stesso, non so cosa pensare! Davanti alla disperazione, tutti troviamo il coraggio di fare

cose, che mai avremmo voluto fare: anche uccidere!”- concluse.

–“Ma non dire scemenze, per l’amor di Dio! Cosa vai a pensare, non dirlo neppure per

scherzo! Gli do cinquecento euro, spero gli bastino, se ne ha altri racimolati per i fatti suoi!

Si domani, con calma chiameremo sia Giorgio che il suo patrozzo! Sono certo che

potranno aiutarli!”. Si rincuora Rosa, raggiungendo Ninuzzo all’ingresso.

–“Ecco, avevo solo questi dentro casa, spero ti bastino! Ninuzzo, guardami negli occhi, ti

prego non fare cose di cui pentirtene e non poter tornare indietro! Se un ragazzo buono,

cresciuto con sani principi, Dammi il tuo cellulare, e questi sono il numero di Giorgio e i

nostri numeri cosi resteremo in contatto, e lo darò a Giorgio, anzi raggiungilo li, magari

saprà come sistemarvi provvisoriamente!”- gli disse abbracciandoselo forte.

– “Grazie mille mamma Rosa, posso chiamarti cosi? Sicuro, ti farò sapere quando saremo

arrivati e dove! Spero di riabbracciarvi presto, tutti e tre!”- le rispose con tono mesto.

– “Ninuzzo, a me non mi saluti? Parti e non dici nulla nel cuore della notte? Mi

raccomando, noi staremo con te, non fare sciocchezze e tieni il sangue freddo! Rosa mi

ha detto tutto di la! Hei, quella è brutta gente, da solo non puoi farcela! Chiama Giorgio,

saprà proteggerti come sempre, da quando eravate picciriddi! Questi sono altri duecento,

che avevo in tasca!”- glieli diede, mentre se lo stringeva forte a se.

-“Siete fantastici, grazie, non so se potrò mai restituirvi, questo denaro un giorno,

sicuramente farò tesoro del vostro affetto! Non vi dimenticherò mai e neppure mia madre!

Vi ha sempre nel cuore, per tutto quello che avete fatto finora per noi!”- detto questo, diede

un bacio ad entrambi e se ne andò.

Nel rientrare a casa, viene colto da una terribile angoscia. A pochi metri da casa sua, nota

un’auto posteggiata, a lui familiare. Non ha dubbi nel vederla meglio; è l’auto di quel

bastardo. <“Cazzo, pensò fra se e se, non ha perso tempo nel presentarmi il conto di

stasera, forse si sarà nascosto per darmi una lezione. Devo tenere gli occhi aperti e pronto

a qualsiasi aggressione, sempre che non decide di farmi direttamente la pelle.> Mentre

meditava, si guardava in giro, cercando un bastone, o una bottiglia rotta per accennare

almeno ad una difesa, “ <davanti a una canna di pistola, si può fare ben poco”>

continuava a pensare. Una strana calma però regnava attorno, molto tetra e sospetta, che

l’accompagnò fino all’apertura della porta di casa, senza vedere neppure l’ombra di un

gatto. Accesa la luce, l’angoscia si tramutò in concretezza, rappresentata da due figure,

una maschile e l’altra femminile, davanti ai suoi occhi.-“Credo che dovrete rivedere i vostri

programmi di viaggio! Credevate di potervela filare cosi, senza salutarmi? Tua madre non

può partire, senza avermi prima restituito quello che mi spetta!”- gli ringhiò il tizio, con un

tono tra il sottovoce e l’ironico. Spavaldamente teneva ben salda una 44magnum in una

mano, con la canna puntata alla tempia di sua madre e con l’altra la teneva stretta a se,

palpandole avidamente un seno, a sfottò e prepotenza del suo essere criminale.

–“Lasciala andare, prenditela con me, se ti senti con le palle, metti via quella pistola! Ti

senti forte solo con quella, oppure credi di potermi sopraffare senza? Avanti, fatti sotto,

pezzo di merda, guadagnateli una volta tanto, i soldi che pretendi ingiustamente!”- gli gridò

impulsivamente Ninuzzo, roteando un collo di bottiglia, tenendolo ancora in una mano,

trovato per la strada.

–“Già, pensi di farmi paura? Ne ho piegate di puttane e merduccie più grosse di te! Vieni

avanti, stronzetto!”- lo incitò, spavaldamente, buttando con una manata sua madre a terra

e rimettendosi la pistola alla cintola.

Iniziarono una violenza colluttazione, mentre sua madre piangendo assisteva spaventata

a terra. Ninuzzo con coraggio o incoscienza, gli andava contro, cercando di colpirlo

ferendolo al volto, ma l’altro abilmente lo schivava, rispondendo con un poderoso sinistro

alla mascella, facendolo barcollare e sbattere la schiena al muro. Ninuzzo, tonico e

robusto non si è perso d’animo, e mentre l’altro lo caricava a testa bassa, cercando di

colpirlo alla pancia, lo colpì alla spalla, conficcandogli il vetro lanciandoglielo, come un

pugnale, cadendo a terra in una pozza di sangue, svenendo. Ninuzzo ravvedutosi, pensò

d’averlo colpito al cuore, vedendolo a terra, col petto insanguinato e il sangue scorrere

ancora fluttuoso. Ormai era passato dall’altra barricata: aveva un morto sulla coscienza,

era diventato un criminale assassino pure lui. Il destino era ormai segnato per sempre,

cosi come era nato e cresciuto in un ambiente malsano, alla fine, anche lui finì per farne

parte. Sua madre restò a terra incredula a ciò che aveva assistito, e guardava suo figlio,

stravolto in viso e lo sguardo perso nel vuoto. Attimi che sembravano interminabili, come

in un ferma immagine o al rallentatore, videro Ninuzzo correre verso sua madre, stringerla

a se, aiutarla a sollevarsi da terra. Poi, come al ritorno dell’audio, disse a sua madre:

svelta, adesso più che mai dobbiamo, scappare via di qua prima che arrivi la polizia! Di la

ci sono le valigie già pronte, e qui ho del denaro contante a sufficienza per andarcene

lontano, anche fuori dall’Italia! Fra poco qui arriverà la polizia! Sicuramente per il

trambusto fatto, l’avrà chiamata qualcuno preoccupato!”

-“No, Ninuzzo, adesso è il momento di mettere le cose a posto! Ci siamo liberati di lui,

vedrai che terranno conto che si trattava di legittima difesa e che ci angosciava la vita e

minacciati di morte! No, adesso non occorre scappare più! Devi costituirti non puoi fare

questo torto a Giorgio e alla sua famiglia! Credono in te, sanno che mai uccideresti

qualcuno e che tu saresti il primo a rivolgerti alle istituzioni, perché hai fiducia in loro! L’hai

sempre detto tu, ed io sempre stata fiera di te, per questo!”- gli rispose sua madre, mentre

si passava il gomito sul viso, asciugandosi dalla lacrime.

-“Non importa, acqua passata ormai, anche loro e i tuoi insegnamenti! La vita reale, invece

mi ha insegnato che se uno nasce segnato, niente e nessuno può cambiarti la vita!

Nessuno crederà, che si tratterebbe di legittima difesa! Noi per loro e per tutti siamo e

resteremo degli sbandati, senza contare che sei pure tossicodipendente e già con questo,

penseranno ad un regolamento di conti, che volevano pagata la tua roba! Mamma non

perdiamo altro tempo, andiamocene via, adesso, non condannarmi ancora ad una vita

peggiore di quella vissuta fino ad ora!”- gli gridò con rabbia.

Senza proferire parola, sua madre, prese altre cose nel cassetto, le mise in una sacca e

approfittando che era ancora buio, uscirono furtivi di casa, raggiungendo la macchina del

loro aguzzino, al quale nel frattempo, Ninuzzo, gli aveva trafugato le chiavi, dal corpo

inerme a terra. Sistemati i bagagli nel cofano, accende il quadro motore, e nota con

soddisfazione che il livello della gasolio è al massimo, cosi non devono neppure fermarsi e

non lasciare tracce di loro, sicché è un ottimo guadagno di tempo, prima che la polizia

organizzi dei posti di blocco.

-“Mamma tu riposa un po’, ti sveglierò io quando e se avrò bisogno del cambio di guida!

Dobbiamo cercare di fare molta strada, il più presto possibile e imbarcarci su un traghetto

che ci porta lontano da qui, solo con la carta d’identità!”- cerca di rassicurarla su piani

precisi e chiari che ha in testa.

– “Ok, va piano però, sennò ci fermano prima per eccesso di velocità o qualche altra

infrazione! Sii prudente, Ninuzzo!”- rispose, con gli occhi chiusi per la stanchezza del

trauma appena subito.

Dopo parecchie ore, le gomme dell’auto frenano in prossimità di un molo. L’arresto

improvviso del mezzo, fa destare la donna, da un sonno che non le ha fatto accorgere di

quanta strada percorsa fino a quel momento. Apre gli occhi, ma il profumo del caffè

portatole da Ninuzzo, la distrae ancora da ciò che li circonda. Solo il suono, l’odore del

mare, lo stridio dei gabbiani e le sirene del porto, le fanno capire che sono prossimi

all’imbarco su un traghetto.

-“ Santo cielo, Ninuzzo, ma dove mi hai portato? Dove siamo e diretti dove?”- gli chiede

ancora assonnata.

–“In Jugoslavia, e poi da li c’inoltreremo in Romania! Poi vedremo fin dove potremo

allontanarci ancora e ricominciare una nuova vita!”- le rispose con tono più rilassato. Poco

dopo, fanno cenno d’imbarcarsi dentro la nave, e una volta fermata la macchina e spento il

motore, dentro la pancia del traghetto, Ninuzzo prima di scendere, accende la radio e

ascolta il telegiornale:<Notiziario delle 8,00, tentato omicidio, forse per un regolamento di

conti. Trovato un pregiudicato, noto alle forze dell’ordine, dedito allo sfruttamento della

prostituzione e spaccio di droga e usura con un collo di bottiglia conficcato nel petto. Forse

l’aggressore pensando d’averlo ucciso, è scappato sottraendogli pure un’auto di grossa

cilindrata. Dalle prime indiscrezioni, dovrebbe essere in compagnia di una donna, nella

fuga in auto. Per il momento non ci sono altre notizie a riguardo. Gli aggiornamenti

saranno trasmessi nel prossimo notiziario>.

-“Mamma, ancora non sanno che si tratta di noi! Però era noto, il bastardo, per i suoi illeciti

trascorsi! Un motivo in più per non tornare indietro, perché ci daranno la caccia anche i

suoi amici! Una notizia buona. Non era morto, solo ferito gravemente, quindi non sono un

assassino!”-le dice scendendo dall’auto. Per precauzione si alza il cappuccio della felpa e

indossa un paio d’occhiali da sole scuri e larghi da coprirgli gran parte del viso. Lo stesso,

fa fare a sua madre, non si sa mai se qualcuno avrà fornito delle foto, da trasmettere alla

tv a differenza della radio, che non sono stati chiari del tutto, o ancora non in possesso di

altre notizie in merito. Sicuramente a bordo, ne avranno diverse, e ci sono sempre i curiosi

scassa cazzi che non si fanno gli affari loro, fissando le persone che vi somigliano, pensa

fra se e se. Infatti, nel bar del traghetto, un maxischermo, è sintonizzato sul telegiornale

regionale. Il traghetto, nel frattempo è salpato, e lo tranquillizza maggiormente, però il

diavolo ci mette sempre lo zampino. In quel momento, stanno trasmettendo il servizio sul

ferimento del pregiudicato, indicandolo come regolamento di conti, in un appartamento

fatiscente, in una borgata, vicino Termini Imerese. Senza farsi notare troppo, resta

appoggiato seminascosto, vicino ai bagni, e segue da uno specchio convesso, il servizio

giornalistico. Iniziano le prime interviste ai vicini, i quali, involontariamente pur restando

omertosi, svelano quel poco che basta per identificarli. A peggiorare le cose, una

testimone volontaria, svela altri particolari, legati alla professione esercitata dalla donna, in

fuga con l’assassino, mostrando pure una foto, scattata occasionalmente col telefonino, al

quale s’aggiungono quelle di una rissa, scattata nel viale delle lucciole, tra la vittima e il

suo presunto assassino. Il giornalista enuncia una teoria tutta sua, nella quale si evince

pure il movente, che potrebbe aver determinato l’aggressione in un secondo momento.

Quelle ultime immagini e interviste, fecero gelare il sangue nelle vene a Ninuzzo, il quale

ha voluto preservare sua madre, dal farglielo sentire, per non preoccuparla ulteriormente.

Però adesso erano nei casini, veramente ed erano fortunati se riuscivano a sbarcare

senza problemi. Dopo aver notato la foto di sua madre, e per fortuna solo quella e non

d’entrambi, si diresse verso sua madre. Ella stava seduta sopra una panca del bar,

pensierosa a fissare il mare che scorreva di sotto. Le mise il foulard attorno al viso, da

farla sembrare una donna araba e se la tirò via, rientrando dove stavano stipate le auto.

–“Mamma, tieniti il viso coperto, tanto qui, è cultura che le donne non sono obbligate a

mostrare i documenti, se accompagnati da un uomo! Mi raccomando, non dire una sola

parola! Stai zitta, e fai solo cenni, come se fossi sordomuta!”-“D’accordo, farò come dici tu!

Io ho fatto solo guai, invece d’aiutarti come desideravo fare e ho fallito!”. Rispose

-“Ok, lasciamo perdere, stiamo per sbarcare, stai serena! Vedrai andrà tutto bene!”- e

chiuse discorso. Infatti, dopo qualche istante, s’alzò il ponte di prua e uscirono dal ventre

della nave. Si mise un cappellino con la visiera e due occhiali da sole, abbastanza larghi,

da coprigli buona parte del viso. Prima di lasciare il porto, dovettero fermarsi forzatamente

al posto di blocco della dogana. Il finanziere li osservò con attenzione, fissandoli entrambi,

parlando un italiano storpiato.

–“Par favore documante e librecto di auto, crazie!”, proseguendo a fissarli e allungando lo

sguardo alla macchina e alla targa. Ninuzzo, cercando di mantenere la calma, porse tutto

con la massima naturalezza. Il finanziere, diede uno sguardo veloce, ma non li riconsegnò.

Girò le spalle, entrando dentro la guardiola e perse tempo a controllarli. Ninuzzo sempre

più teso, cercava di scrutarne i movimenti da lontano per capirne anzi tempo le loro

intenzioni.-“Ninuzzo, perchè stanno perdendo tutto questo tempo? Vuoi vedere che hanno

già ricevuto la segnalazione dalla polizia italiana?”

-“ Ma no mamma, che dici, è ancora presto! Magari avranno qualcosa da ridire sull’auto

che è intestata ad un altro e non a me! Vedrai che riescono per restituirci i documenti e

proseguiremo tranquilli!” rispose con tono serafico contraffatto. Infatti il gendarme

precedente, riesce, ma senza i documenti i mano, facendo segno di scendere dall’auto.

Ninuzzo, fa finta di non capire e attende che s’avvicina per parlarci.

–“Che succede? Perchè devo scendere? I documenti sono a posto e la patente ha già tre

anni di vita!” rispose cercando di tenersi calmo.-“L’auto ricsulta rubati! Preco scenderi da

auto!”-gli intima l’agente.

-“Rubata? Ci dev’essere un errore di trascrizione di targa! Non è possibile!”

-Lei non è l’intestatario auto e risulti rubati sei mesi fa! telai non conformi a documenta!”

Ninuzzo comprende al volo, che non riguarda loro, ma non può certo spiegare altro. Nota

che la sbarra era ancora alzata, accende accelerando al massimo. L’auto sgomma,

scattando in avanti, rischiando quasi di travolgere la guardia. Ormai anche questa era

andata. Senza documenti, in terra straniera, era destinato a darsi alla macchia. Lui sempre

dalla parte delle istituzioni, attento agli insegnamenti d’onestà e sani principi d’ideali,

trasmessi dalla famiglia di Giorgio, dal quale ha tratto il meglio, credere solo nel lavoro,

seppur sottopagato e sfruttato. Adesso si trovava, dall’altro lato della barricata, suo

malgrado, con un’accusa di tentato omicidio, furto d’auto e chissà quali altre imputazioni a

suo carico, con accanto una madre tossicodipendente, il cui unico lavoro che sapeva fare,

preferiva non pensarci per non impazzire. Appena fu possibile fermò l’auto, infilandola

dentro un cespuglio, lontano dalla vista degli altri automobilisti. Aveva bisogno di riflettere,

fare il punto della situazione, e decidere nuovamente in poco tempo, della sua vita e di

quella di sua madre.

–“Mamma, adesso si che siamo nei casini! Dobbiamo cambiare auto, questa ormai è

bruciata, però devo usare un metodo che non mi piace ma inevitabile, al quale dovrò

abituarmi!”

-“Ninuzzo, mi fai paura, che vuoi dire?”- gli chiese con tono tremolante.

-“Mamma, il bastardo che ci ha messi in questa situazione, aveva già rubato quest’auto sei

mesi fa! Non potevo certo spiegare loro la nostra situazione! Siamo in Jugoslavia,

dobbiamo trovare un’altra auto! L’unico modo è rapinarla a qualcuno di passaggio qui!”

-“Come, se non possediamo neppure un’arma? E poi, che faremo? Dove potremo andare,

senza documenti e con pochi soldi rimasti?”

-“Io mi metto sdraiato sul ciglio della strada, tu invochi aiuto! Appena si ferma qualcuno

disposto ad aiutarci, gli sottrarremo l’auto e soldi, anche senz’arma! Fai fare a me! Tu

basta che fai quel che ti dico!” Ribattè Ninuzzo.

Infatti poco dopo, si fermò un suv bmw, guidato da un ragazzo. Questi si fermò

accostando.

-“Signore, ci aiuti, la prego! Mio figlio si è sentito male, siamo italiani! Io non so parlare

nessuna lingua! Capisce cosa dico?”- gli disse sua madre accostandosi allo sportello.

Questi, scese dall’auto, per sincerarsi delle condizioni del ragazzo disteso per terra.

Ninuzzo recitava bene, senza dare segni d vita. Senza dire alcuna parola, lo prese in

braccio e lo caricò, sui sedili posteriori. Fece segno alla donna di salire in auto e

ripartirono. In auto, iniziò a parlare.

-“Il mio nome è Lorike Kosisky, parlo la vostra lingua, perché lavorato in Italia! Io so, chi

siete, e vi aiuterò!”-disse.

Ninuzzo ascoltava senza tradirsi. Voleva sapere chi era, come sapeva di loro, e perché li

stava aiutando.

–“Grazie, signore, che lavoro ha fatto in Italia e adesso qui? Perché ci aiuta, se sa chi

siamo?”- gli chiese la donna.

–“Io sono un rom e come voi, non ben visto dalle autorità per causa di alcuni reati da me

commessi: furti, rapine e prostituzione! Tu, ancora buona per lavorare qui! Se bisogno, io

fare lavorare te! Dare voi documenti nuovi!”- rispose sorridendo, pensando d’avere a che

fare con gente del suo stesso rango. Ninuzzo a quel punto si alza, bleffando una pistola,

puntandogli un pezzo di tubo metallico alla nuca.

-“Hei amico, grazie! Il tuo viaggio, finisce qui! Mia madre non è una di quelle che pensi tu!

Accosta e scendi dall’auto, se non vuoi finire la tua vita adesso!” Gli ringhiò rabbioso.

Di tutta risposta, accelerò dando due diverse sterzate, a destra e a sinistra, da far

sbilanciare Ninuzzo, facendogli sbattere pure la testa in uno dei due finestrini. Dopodiché

arrestò realmente l’auto.

-“Eccoti accontentato, ma sappi che il tuo tubo metallico, non spara, al contrario di

questa!”- gli controbatté, girandosi, puntandogli nel frattempo una canna di una 38 in

mezzo agli occhi.

-“Ho un cuore, nonostante tutto e comprendo il tuo stato d’animo! Non si tratta

maldestramente e disarmati, chi vuole aiutarti! Ok, scusami per tua madre, la televisione,

non ha parlato che eravate madre e figlio! Una puttana ha mostrato una foto di lei, dicendo

che era una sua collega e che avevate avuto un diverbio, col suo pappa! Ora capisco

tutto! Cerco un socio, che sappi portare l’auto! Puoi unirti a me, per racimolare qualcosa,

per pagarti i documenti nuovi e allontanarti ancora! Non tarderanno molto qui a sapere di

voi!” disse con tono placido.

–“Io non sono un criminale e mia madre non è una puttana! E tu come hai saputo di noi,

se dici che qui, ancora non sanno di noi?”- chiese ancora diffidente.

-“Io ero con voi sul traghetto! Ho sentito dalla televisione italiana, la notizia! Se dici che tua

madre non fa la puttana, come la conosceva quella, mostrando pure una sua foto? La

conosco, è nota in quell’ambiente e se lei fece quella dichiarazione, qualcosa di vero c’è!

E poi, colui che hai tentato di farlo fuori, è tra i più feroci e spietati pappa, conosciuti nel

nostro ambiente! Hai molto da raccontarmi ragazzo, e senza dirmi altre cazzate, che voi

non c’entrate niente con quell’ambiente!” disse poco convinto.

-“Non so come quella là, abbia detto cose simili! Comunque non credo d’avere altra scelta!

Ormai, per la legge italiana sono un criminale, tanto vale, che accetti! A patto che non ci

fai scappare il morto! Non voglio aggiungere altri reati al mio curriculum di neo criminale!”.

Rispose Ninuzzo, fissandolo negli occhi.

–“Ok, non sono un assassino e non credo che lo sia anche tu! Non hai la stoffa e spero

che non farai cazzate, facendo di testa tua! Non muoverai dito, senza mie precise

istruzioni, e tutto filerà liscio! Con calma mi racconterete la vostra storia, al campo! Vi

presenterò alla mia gente, li starete al sicuro!” gli disse, rimettendo in moto l’auto, dopo

aver riposto la sua 38, dentro i jeans.

Giunti al campo, li presentò alla sua gente.

-“Lui è Ninisk per tutti e lei Jaka! Hanno bisogno d’aiuto, ricercati anche loro in Italia, per

solite stronzate! Kosik m’aiuterà personalmente, mentre Jaka, aiuterà voi nel campo! Non

hanno documenti, gli sono stati sequestrati alla dogana appena sbarcati, per questo sono

scappati, e dobbiamo procuraglieli dei nuovi!” enunciò Lorike alla sua gente. I rom sono

brava gente in fondo, anche se alcuni si procurano da vivere in modo poco lecito,

comunque ospitali, se saputi prendere. La mamma di Ninuzzo, seppur vestita con

pantaloni, camicetta, maglioncino e giubbotto, era una bella donna, poi abituata

ultimamente ad un portamento provocatorio. Cosa che non è passata inosservata ad uno

dei capi del campo, senza farsi accorgere sia da Ninuzzo che dall’interessata. Dopo aver

cenato tutti insieme, seduti all’indiana, come di consueto in un accampamento, le donne

vanno a lavare stoviglie e altro, mentre gli uomini si raccontano le cose accadute e

organizzano i programmi del giorno dopo. Lorike, seduto accanto a Ninuzzo, gli chiede di

raccontare la loro storia, di come si sono trovati in quella situazione. –“Io ho sempre

lavorato onestamente, e ho creduto pure i miei, come me, avendomi trasmesso sani

principi, finchè una sera casualmente non ho scoperto quel che mai avrei voluto! Mi

raccontò che era stata ingannata e si trovò sopraffatta da debiti, per un prestito avuto, e

costretta poi a restituirlo con interessi da strozzino! Questi le ha proposto di farla lavorare

con lui, ma non immaginava in che modo! Quindi l’ha drogata, per forzarla a prostituirsi!

Ecco perchè quella ha fatto quella dichiarazione! Mia madre mi giurò che era da pochi

giorni che era stata portata li e lei aveva avuto ancora pochissime esperienze, tutte

inconsciamente sotto l’effetto della cocaina! Io quella sera mi trovai a passare con amici, e

gliela strappai a quel bastardo, ma ci raggiunse a casa! Minacciò mia madre di morte e io

l’aggredii con un collo di bottiglia che gli conficcai nel petto! Questo è tutto, adesso mi

trovo con un’accusa di tentato omicidio, pur essendo stata legittima difesa! A lui partì pure

un colpo, andato fortunatamente a vuoto!”- concluse la sua storia.

-Da noi potrete stare tranquilli per un po’, nessuno vi disturberà se voi vi farete i fatti vostri!

Tua madre aiuterà le altre donne a cucinare e lavare per tutti e badare i bambini! Tu verrai

a lavorare con noi! In compenso avrete di mangiare e dormire! Qui nessuno vi verrà a

cercare, però tu dovrai fare quel che ti diciamo noi! Non facciamo male a nessuno, no

rapine, no scippi, solo furti e qualche piccola truffa o estorsione per riconsegnare mezzi

rubati! Ok? Tu stai a fare palo, mandi noi sms d’avviso e noi scappiamo via! Tu guida

furgone!” gli disse Lorike.

-Tanto ormai per tutti sono un criminale pure io, era scritto nel mio destino! Purchè tenete

le pistole fuori dalla portata di persone! Non voglio essere vostro complice in qualche

assassinio nella vostra fuga, o perché sorpresi a rubare! Intesi?. Intimò loro Ninuzzo,

parlando chiaro, seppur accettando una vita che lui ha sempre negato di voler fare.

<Adesso era costretto dagli eventi, e non avrebbe trovato un lavoro onesto senza

documenti, pensò. Sua madre doveva disintossicarsi, per quel breve periodo, sperando

che non abbia subito danni maggiori, come assuefazione, soffrendo le crisi di astinenza.

Oltretutto si trovò costretta, hanno sempre condotto una vita di stenti, e nel limite

dell’illecito, trasmettendo a lui, dei sani segnali di vita onesta. Se fossero stati dei veri

criminali, anche lui, sarebbe stato indotto fin da ragazzino a commettere reati molto più

gravi. Chi più di lui stesso è stato testimone di una vita grama, ma dediti solo a lavori umili,

a volte poco fuori dalle regole, si, ma senza ledere nessuno e agli occhi tutti erano una

brava famigliola unita e rispettosa degli altri e rispettata. E chissà quale vergogna provava

suo padre e sua madre a dovergli mentire, pur di farlo vivere in un ambiente sano, come la

famiglia di Giorgio, e con forti sacrifici, farlo studiare, per rendergli un futuro migliore del

loro. Ed invece si trovava in quella situazione per colpa di quel pezzo di merda, che

magari fu colpevole d’aver fatto mandare in galera suo padre, per approfittare di sua

madre, quale bella donna gli avrebbe reso moltissimo, facendola prostituire.> Mentre

rifletteva, stanco s’addormentò.

Un improvviso scroscio di acqua in viso e due forti braccia l’alzarono dal letto, approntato

alla buona, sul camper a loro assegnato.

-Forza ragazzo, svegliati, è ora di lavorare! Sono le quattro del mattino e dobbiamo

svaligiare degli appartamenti qui vicino segnalateci disabitati, perché i proprietari saranno

partiti! Li ci sono degli indumenti puliti, vestiti in fretta! Disse uno di loro.

Raggiunti il luogo, Ninuzzo è rimasto sul furgone ad attenderli, mentre altri tre sono entrati

dentro un palazzo scardinando l’ingresso. Dopo pochi minuti, uno dei tre usci dal portone

con un sacco pieno di roba. Cosi anche gli altri due, dopo pochi minuti dopo. Entrati dentro

il furgone, sgommarono via. Ritornati al campo che albeggiava, si divisero la refurtiva in

presenza del capo anziano rom. Ninuzzo, non li degnò neppure di uno sguardo, del modo

come se e cosa si dividevano, ed entrò nel camper, per controllare come stesse sua

madre.

-“Buon giorno mamma, come stai? Preparo subito il caffè e ti preparo qualcosa da

mangiare!” le disse.

-Non l’ho so, tutta questa storia mi mette angoscia, questi non li conosciamo neppure, ci

danno ospitalità, ma sappiamo che solitamente sono dediti a furti, scippi rapine! Ho paura

che ti trascinano in qualche brutto guaio.

-Mamma, proprio tu mi parli cosi? Peggio di come siamo messi, non credo che abbiamo

altra scelta! Facciamo calmare le acque e poi ce ne andiamo ancora più lontano!

Aspettiamo che ci procurino dei documenti nuovi, con nuova identità, cosi potremo rifarci

una nuova vita! Adesso rilassati, beviti il caffè e mangia qualcosa!” rispose Ninuzzo.

Trascorsa una settimana, al ritorno del solito saccheggio, al campo trovarono una sgradita

sorpresa, specie per Ninuzzo e sua madre.

-“Ti avevo avvertito che ti avrei fatto pagare caro d’esserti messo contro di me! Adesso hai

un conto in più da pagare! Questo! gli urlò si sbottonandosi la camicia, mostrando una

profonda cicatrice sul petto.-“Questo è il ricordo di quella sera che mi porto appresso, che

per poco non ci restavo secco, dissanguato! Mai fu provvidenziale, l’arrivo della polizia,

chiamata da qualcuno del vicinato! Adesso pagherete per tutto! Gli urlò rosso in viso dalla

rabbia.

-“Inutile dire come hai fatto a trovarci! Giuda si vendette per trenta denari e non soffriva la

crisi di oggi! Avrai offerto abbastanza, per riuscire ad avere le informazioni che ti

servivano! Ok, prenditi la mia quota che mi spetta, che devono darmi e sparisci! Sarà

abbastanza da ripagarti di tutto! Gli rispose urlando a sua volta Ninuzzo.

Una risata del pappa, contagiò tutta la tribù dei rom, che già sapevano cosa gli aspettasse.

– Sei perspicace, hai indovinato! Ho tanti amici e basta pagare per avere quel che voglio,

ovunque! ahaha e tu pensi che bastano, quattro cose d’oro, di scarso valore commerciale,

con quello che già mi doveva tua madre, più gli interessi, il mancato guadagno di tua

madre, e in ultimo questo tuo ricordino sul petto! Gli disse andandoci vicino a due

millimetri dal suo viso, puntandogli nuovamente la sua magnum in mezzo agli occhi.

-se ci ammazzi, non recuperi nulla di quel che vuoi! Lascia stare mia madre, che già le hai

fatto fin troppo male, nell’anima e nel corpo, con quella merda bianca! I Lavorerò io per te!

Una cosa è certa, non ucciderò nessuno per te, ma ucciderò prima te, se t’avvicinerai a lei

di un solo millimetro! Gli intimò Ninuzzo, proponendosi lui, a risarcimento del dovuto.

-Tu non sei nella posizione di dettare condizioni, ma di ciò ne parleremo in seguito, di quel

potrò o meno fare di e su tua madre, bamboccio! Di una cosa hai ragione, mi servite vivi!

Per ora accetto, tanto sarò sempre io a cambiarle, in qualunque momento…ahahahha!

Rispose riponendo la pistola dentro i pantaloni.

-Salite in macchina, vi porterò in altro posto, dove potrete rendere meglio, sia tu che tua

madre! Perché ti prostituirai per me anche tu, dove andremo prediligono giovani ragazzi,

cosi capirai cosa vuol dire dare il culo nel vero senso della parola.. ahahahah! Ordinò

spingendoli dentro la macchina.

-Un momento, da qui non vi muovete, se prima non ci pagate voi, quanto dovuto! Gli

intimò il capo anziano rom. – Vi abbiamo procurato quel che desideravate, documenti, i

due indicateci da voi, abbiamo pure corrotto le guardie della dogana nel sequestrargli i

documenti e lasciarli andare! Tanto era pronto, mio figlio Lorike ad individuarli e prelevarli!

Loro pensavano di potergli soffiare l’auto tanto facilmente, ma era tutto premeditato!

Adesso, vogliamo euro sonanti da voi, altrimenti ce li prenderemo noi e molti di più! E voi

lavorerete per noi! Intervenne, bloccando la loro auto, circondandoli con diversi uomini

armati di pistole mitragliette e spranghe.

-Hei che significa, avevamo pattuito, ventimila euro e una larga zona protetta dove

eseguire i vostri furti, segnalati dai miei uomini, in ville residenziali! Potrete ricavargli molto

di più! Rispose il pappa sbalordito di quel cambia bandiera improvviso.

-Quei ventimila, li abbiamo riservati a questi due poveracci, come risarcimento, che voi

avete ridotto in schiavitù! Noi siamo rom, rubiamo viviamo di piccoli espedienti, ma non

togliamo la dignità alle persone, specie a quelle che non ci hanno fatto nulla di male! Non

droghiamo le persone per indurle in schiavitù e prostituirle, sarebbe come negare pure la

nostra dignità alla mia gente! Voi siete dei criminali, noi solo dei nomadi perseguitati per

colpa vostra, credono che ogni reato più efferato, lo commettiamo noi, non sapendo che

abbiamo delle rigide leggi morali che rispettiamo e facciamo rispettare a tutta la nostra

gente e guai chi sgarra!” gridò adirato.

-Che cazzo stai dicendo, vecchio rincoglionito! Fai togliere i tuoi uomini, altrimenti li

falciamo! Anzi restituiscici i soldi che ti abbiamo anticipato, il patto non vale più! Le vedi

queste, sono pronte a sparare su tutti voi, se non ci lasciate andare e pure con i nostri due

assegni da incassare! Gli rispose, intimandogli ancora una volta di farsi i fatti propri e di

lasciarli passare.

-L’hai voluto tu, pezzo di merda! Sappi che noi siamo a conoscenza di tutte le fregature che

hai tirato ai miei fratelli e cugini in Sicilia! Li hai fatti arrestare, molte donne, come questa

povera madre, le hai costrette alla vita sul marciapiede, molti di noi uccisi in finti

regolamenti di conti! T’aspettavamo al varco per presentarti il conto e tu ci sei caduto

come un fesso! Ora pagherai per tutto quello che i nostri parenti e amici rom, hanno

sofferto per causa tua!” gli sbraitò, dando il segnale ai suoi uomini d’attaccarli, bloccandoli

con un’altra auto davanti ed una di dietro. Ninuzzo, al sentire quelle prime frasi del capo

rom, si tenne pronto a reagire all’interno dell’auto bloccando uno di loro che gli stava

accanto con la pistola puntata. In un attimo è successo il finimondo, colpi di spranga

sull’auto, proiettili che fischiavano ovunque. Alcuni di loro, erano riusciti a strappare con la

forza dall’auto, gli scagnozzi del pappa e a prenderli a pugni e sprangate, da ridurli

sanguinanti a terra. Ninuzzo dopo aver disarmato chi li puntava la pistola, lo spinse fuori a

calci, mentre si tirò sua madre fuori, dall’altro sportello e si rifugiarono sotto la macchina.

Quella mega rissa ha attirato l’attenzione di gente estranea, che oltre alle grida, udirono

anche dei colpi di pistola e mitragliatrici, che non esitarono a chiamare la polizia.

Dopo alcuni minuti, un megafono avvertiva che la zona era circondata, e molti poliziotti

intervenuti, arrestando tutti i presenti. Oltre alla polizia locale, era intervenuta per

collaborazione e segnalazione di soggetti sospetti entrati in jugoslavia evitando controlli

della dogana, grazie ad agenti corrotti ed arrestati.

Anche Ninuzzo e sua madre, furono presi in consegna, dopo averli fatti uscire da sotto la

macchina. Appena aiutata ad rialzarsi, sua madre ebbe un mancamento, accasciandosi

nuovamente, tra le braccia di un poliziotto. Una macchia di sangue, vistosa sull’addome, e

dei rigagnoli scendere giù dalle gambe.

-Mamma, mamma, rispondi, aiuto, chiamate un’ambulanza, è ferita, non vedete che perde

sangue? Si mise ad urlare.

-“Tranquillo, sta arrivando, gli disse una voce da dietro, mentre lui era riverso su di lei. Si

bloccò e si girò al suono di un tono familiare.

-Giorgio, che ci fai qui? Non eri entrato nella nostra polizia italiana? Ho creato casini su

casini, ma non per colpa mia! Gli disse abbracciandoselo stretto, più d’aver visto un

fratello.

-Coraggio Ninuzzo, è tutto finito, vedrai tua madre è solo ferita e per fortuna solo di striscio

al fianco destro, però è stata fortunata! Basta qualche centimetro più in dentro e prendeva

un organo vitale! Si sono nella polizia italiana, ma collaboriamo pure con le altre quando si

tratta di acciuffare latitanti o persone pericolose, come questo soggetto, che aveva

sottomesso tua madre! Gli rispose Giorgio.

-Ma come hai saputo di noi, che ci trovavamo qui! Sai che per me ormai il mio destino è

segnato! Sognavo una vita tranquilla, un lavoro onesto e invece eccomi qui, come un

criminale come tanti! Con diverse accuse, ad iniziare dal tentato omicidio d quel tizio li!”

rispose Ninuzzo, fissandolo negli occhi.

-No stai sereno, puoi tornare a fare la tua vita, con la fedina penale pulita! So tutto, i miei

mi chiamarono subito dopo che te ne andasti da casa mia, spiegandomi tutto! Quel tizio

era già noto a noi e ho capito che la tua è stata solo pura legittima difesa per te e tua

madre! Lei verrà sottoposta ad una breve terapia di disintossicazione e le farò avere un

lavoro dignitoso! Al rientro in Italia, dopo il processo che si svolgerà nella massima

serenità e verrai assolto, per non aver commesso nessun reato, sbrigheremo i documenti

per entrare in polizia! Gli disse Giorgio, confortandolo e rassicurandolo.

-“Ma Giorgio, io qui ho commesso dei furti, consapevolmente, facendo il palo per loro!

Dovrò pagare e avrò la fedina penale sporca per questo! Rispose sconvolto e incredulo

Ninuzzo.

-No, loro si sono addossati ogni colpa, lasciandoti fuori! Inoltre sei su territorio straniero e i

reati commessi qui in Italia, non sono riconosciuti, quindi la tua fedina penale è salva e

pulita! Però in polizia, poi sarò costretto ad avere la pistola, e non voglio uccidere

nessuno, in caso di conflitto a fuoco! Tranquillo, con la terza media, ti verrà assegnato un

posto tranquillo amministrativo, dove avrai che fare solo con scartoffie!” gli rispose,

Giorgio, abbracciandoselo stretto.

-Amico mio, tu rappresenti per me l’amicizia con l’A maiuscola, che neppure sul libro

“cuore” di de Amicis si è mai letto.

FINE

©Antonio de Lieto Vollaro

https://www.facebook.com/antonio.delietovollaro1

Nota di Lidia Popa

Il racconto “Amicizia con l’A’ Maiuscola” di Antonio de Lieto Vollaro è stato terzo classificato Concorso Stravagario 11° edizione. Un racconto di vita localizzato nel secolo passato che è una testimonianza per la vita degli operai di altri tempi, una storia di amicizia in un paese che io conosco da poco tempo e dove cerco di ambientarmi.

© Rivista letteraria “Lido dell’anima”

https://www.facebook.com/lidia.popa1

© Rivista letteraria Lido dell’anima / Revista literară Lunca Sufletului

Rivista letteraria Lido dell'anima 2017 -2019
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